
ROMA – Ecco perché la Fiat è costretta a traslocare, scrive Vittorio Feltri, “burocrazia e sindacati: in Italia troppi freni, logico che Marchionne scelga l’America”.
L’editoriale di Feltri:
(…) In Italia non esistono da anni le condizioni ambientali per consentire a un’azienda di competere con la concorrenza internazionale: le tasse e il lavoro sono eccessivamente onerosi, le norme che disciplinano i rapporti tra proprietà e personale sono rigide e foriere di contenziosi scoraggianti. Ovvio che gli imprenditori emigrino o, come si dice, delocalizzino.
Senza un adeguato profitto, infatti, gli stabilimenti chiudono. Lo capisce chiunque, meno i nostri governi. Quelli di sinistra, in particolare,predicano che l’obiettivo principale è la sconfitta della disoccupazione. Ma non sanno sconfiggerla se non a parole oppure incrementando i lavori socialmente utili (anzi, inutili) e assumendo forestali in Calabria, notoriamente priva di foreste, eccettuate quelle dell’Aspromonte di cui non importa niente ad alcuno, se si escludono i sequestratori di persone. Marchionne, constatato che la Fiat in patria non avrebbe combinato nulla, data l’ostilità dei sindacati, dello Stato e della politica, ha traslocato in America trovando un’accoglienza trionfale.Il suo interlocutore non è più Maurizio Landini, capo della Fiom, ma il presidente Barack Obama, che gli ha messo a disposizione finanziamenti bastevoli a rilanciare nientemeno che la Chrysler. La quale ora- rimessa a nuovo- è diventata patrimonio della famiglia Agnelli-Elkann. Sforna vetture a tutto spiano. Il marchio è stato lustrato a dovere e gli affari vanno benone.
In Italia, Marchionne era stato insultato, travolto dalle grane (anche di tipo giudiziario) e giudicato con disprezzo nemico del popolo. A forza di essere ingiuriato, il grande manager si è risolto a emigrare negli-Stati Uniti dove gli hanno fatto ponti d’oro, e qui ha posto le basi di una clamorosa affermazione. Oggi la Fiat e la Chrysler sono la stessa cosa: un gruppo industriale potente che, a dispetto della crisi dell’auto, va consolidandosi con fatturati da capogiro.
Ciò sarebbe accaduto in Italia se i sindacati e i partiti loro complici non si fossero battuti incoscientemente per rendere la vita difficile alla casa di Torino, costringendola a gettare la spugna. I ricavi della Fiat galoppano,mentre l’industria nazionale svapora o cede quote di mercato agli stranieri. Potrebbe essere l’occasione per prendere atto degli errori commessi e tentare di rimediarvi. Ma non facciamoci illusioni: la lezione non servirà a correggere il nostro sistema sbagliato, antiquato e inefficiente. Continueremo a dare retta a Susanna Camusso e compagnia perdente. Marchionne se la ride, e ci manda tanti auguri dalla tolda della Chrysler in pieno splendore. Noi rispondiamo: cari saluti dalla Cassa integrazione.