
ROMA – “Perché ho graziato l’assassino di mio figlio”, racconta la madre iraniana che ha deciso qualche giorno fa di graziare l’assassino di suo figlio.
L’articolo di Carlo Antonio Biscotto del Fatto Quotidiano:
“Mio figlio aveva 18 anni; stava facendo una passeggiata con gli amici quando è stato spintonato da Balal”, racconta il padre di Abdolghani Hosseinzadeh. “Si è risentito e gli ha sferrato un calcio. Balal ha tirato fuori un coltello da cucina e lo ha ucciso”. Mentre i genitori del povero Abdolghani raccontano ai giornalisti, frenando a stento le lacrime, la sorte del loro amato figlio, l’assassino, Balal, non riesce ancora a credere alla sua fortuna. Pochi minuti prima aveva il cappio stretto intorno al collo e con gli occhi sbarrati dalla paura si apprestava a morire. Le guardie lo avevano fatto salire sul patibolo e tutto lasciava credere che la folla avrebbe assistito all’ennesima esecuzione pubblica su una piazza dell’Iran.
SETTE ANNI prima, Balal aveva pugnalato a morte per un banale litigio in strada il 18 enne Abdolghani nella cittadina di Royan, situata nella provincia settentrionale di Mazandaran. Secondo la legge della Sharia i familiari della vittima erano chiamati a partecipare attivamente all’esecuzione togliendo lo sgabello sotto i piedi di Balal. Ma a questo punto si è verificato qualcosa di assolutamente imprevisto e imprevedibile: la madre della vittima si è avvicinata al giovane Balal, lo ha sonoramente schiaffeggiato e lo ha perdonato. Un gesto quasi senza precedenti in un Paese secondo solo alla Cina per numero di esecuzioni, un gesto che è stato ripreso con grande rilievo da L’Osservatore Romano a riprova del rinnovato interesse della Chiesa di Roma per la questione religiosa in Iran. Poi – come testimoniano le foto scattate da Arash Khamooshi dell’agenzia di stampa Isna – la madre di Balal ha abbracciato la madre del ragazzo che suo figlio aveva ucciso. Le due donne hanno pianto l’una sulla spalla dell’altra: una aveva perso suo figlio, l’altra stava per perderlo e il suo cuore traboccava di gratitudine. Il gesto della mamma di Abdolghani è tanto più straordinario se si pensa che anche suo figlio più piccolo, Amirhossein, era stato ucciso da una moto quando aveva 11 anni. La mamma di Abdolghani si è convinta che Balal non aveva intenzione di uccidere suo figlio: “Balal era inesperto e non sapeva maneggiare il coltello”. Balal non aveva soccorso la sua vittima, ma si era dato alla fuga ed era stato arrestato dalla polizia. Il padre di Abdolghani attribuisce a un sogno l’inattesa decisione di sua moglie: “Tre giorni fa nostro figlio è apparso in sogno a mia moglie, le ha detto che stava bene e che non voleva vendetta. Questo sogno ha indotto mia moglie a riflettere nei giorni precedenti l’esecuzione e a prendere la decisione di salvare la vita all’assassino di nostro figlio”. Molti personaggi della vita pubblica iraniana, compreso un noto presentatore tv, avevano invitato i coniugi Hosseinzadeh a compiere un atto di clemenza. Il gesto di clemenza è arrivato, ma non è detto che Balal verrà rimesso in libertà. Secondo le leggi iraniane la famiglia della vittima può intervenire per evitare l’esecuzione, ma non può impedire che la pena capitale venga commutata in pena detentiva. NEGLI ULTIMI ANNI molte voci critiche si sono sollevate contro l’eccessivo ricorso alla pena capitale in Iran. Il segretario generale dell’Onu, Ban Ki-moon, ha accusato Hassan Rouhani di fare troppo poco per migliorare la situazione in materia di rispetto dei diritti umani. Secondo Amnesty International nel 2014 sarebbero già state giustiziate 199 persone al ritmo di quasi due esecuzioni al giorno. Stando alle autorità iraniane l’anno passato le esecuzioni sarebbero state 369, ma Amnesty International sostiene che moltissime persone vengono giustiziate segretamente. Barareh Davis di Amnesty International ha accolto con gioia la notizia del gesto di pietà nei confronti di Balal: “È una bella notizia ed è un gesto di grande umanità. Resta il fatto che in Iran – contrariamente agli impegni internazionali presi dal Paese – un condannato a morte può sperare solo nel perdono della famiglia della vittima e non può chiedere al tribunale che la pena capitale venga commutata in pena detentiva”.
