ROMA – A quattro giorni di tempo dalla epocale sentenza che ha cancellato la parte fondamentale e tipica del Porcellum, anziché felicitarci tutti con la Corte costituzionale per questo risultato ottenuto dopo infinite promesse della classe politica e ripetuti moniti del Capo dello Stato, molti si chiedono invece con quale legge elettorale andremo a votare e quali scelte potrà fare il Parlamento in questa materia.
Scrive Piero Alberto Capotosti, ex presidente della Corte Costituzionale, sul Messaggero:
Le previsioni sono le più contrastanti e finiscono con l’investire l’ambito di efficacia della decisione di illegittimità costituzionale della Corte: se retroattiva – secondo le normali regole – o invece limitata al futuro. Ed a questo proposito si procede ad accurate analisi testuali di un comunicato stampa, che, in quanto tale, vale per quello che vale, mentre tutta la nostra capacità interpretativa dovrà doverosamente esplicarsi sulla sentenza, quando sarà pubblicata.
Oggi quello che risulta ufficialmente – ed è stata proprio questa la funzione precipua del comunicato stampa – è che la Corte costituzionale ha cancellato inappellabilmente il nucleo essenziale del meccanismo rappresentativo del Porcellum, in base al quale appunto i nostri voti sono stati trasformati nei seggi dei nostri rappresentanti. La Consulta ha cioè stabilito che il conferimento del premio di maggioranza senza la previsione di una soglia minima e l’impossibilità, con le liste “bloccate”, di scelta del candidato contrastano con i principi costituzionali.
E questo fatto inconfutabile, al di là di ogni tecnicismo giuridico sulla sua decorrenza, ha oggettivamente una enorme portata politica e anche giuridica, perché attesta che una rappresentanza parlamentare eletta secondo questo criterio è costituzionalmente viziata, sia sotto il profilo oggettivo, che soggettivo. Ciò peraltro non comporta alcuna delegittimazione del Parlamento, in quanto istituzione, ma incide sulla sua capacità rappresentativa.
La Consulta dunque costringe il sistema politico-istituzionale a voltare pagina dopo otto anni di vigenza della legge Calderoli, senza tuttavia imporre alcun sistema elettorale alternativo, ma solo precludendo l’ulteriore applicazione di un metodo che ci ha condotto ad avere, per ben tre legislature, un Parlamento di “nominati”. E quindi, a mio avviso, sbagliano quegli esponenti del mondo politico che lamentano una sorta di invadenza del giudice costituzionale e sostengono che la Corte costituzionale ci ha, con la sua decisione, riportato all’indietro e precisamente alla legge proporzionale, che vigeva nel 1993, prima che fosse abrogata dal referendum popolare. La classe politica ha avuto a disposizione oltre sette anni di tempo per modificare una legge, che la stragrande maggioranza dei cittadini, a cominciare dal Presidente della Repubblica, chiedevano di modificare. Il calcolo delle varie ed opposte convenienze partitiche, anche in questo caso, ha determinato una situazione di stallo, che ha precluso alle forze politiche di trovare un accordo nell’interesse del Paese (…)
