ROMA – Era una società di “diritto privato” con una partecipazione minoritaria del Comune e quindi non aveva nessun obbligo di comportarsi come una società pubblica. Per questo i 170 imputati del processo per la presunta truffa nella costruzione del porto di Imperia sono stati tutti assolti con solo due eccezioni. Tra gli assolti anche l’imprenditore Francesco Caltagirone Bellavista.
A distanza di due mesi dalla sentenza il tribunale di Torino ha depositato le motivazioni della sentenza. A riportarle, in modo dettagliato, è il Secolo XIX con un articolo a firma Andrea Pomati.
«Nessun dubbio vi è sul fatto che la società (Porto di Imperia Spa, ndr) fosse una società di capitali di diritto privato con partecipazione minoritaria del Comune». Lo scrivono i giudici del Tribunale di Torino nelle 170 pagine di motivazioni alla sentenza con la quale il 7 novembre scorso sono stati assolti tutti gli imputati al processo per la presunta truffa nell’ambito della costruzione del nuovo porto turistico di Imperia.
Per il collegio giudicante, presieduto da Cristina Domaneschi, la Porto Spa «non doveva sottostare a procedure di evidenza pubblica» anche per quanto riguardava la scelta del socio privato. Non fu quindi commesso alcun reato o illecito con l’ingresso nella compagine sociale, per altro approvato dal Comune, dell’imprenditore romano Francesco Bellavista Caltagirone. I giudici inoltre ribadiscono quello che è sempre stato un concetto basilare della difesa degli imputati, sottolineando che l’attività operativa della società «non fu finanziata con fondi pubblici e non controllata, neppure in forza di patti parasociali, dall’ente pubblico».
Sempre secondo i giudici, prosegue il Secolo
«Non vi è la prova di un accordo fraudolento tra i vertici della Porto di Imperia e i vertici del Gruppo Acqua Pia Antica Marcia volto a favorire la società del Gruppo di Bellavista Caltagirone a danno di altre concorrenti, né vi è la prova di un accordo teso a procurare alla stessa un ingiusto profitto».
Anche la mancanza di documentazione contabile relativa ai Sal, stati di avanzamento dei lavori, più volte contestata dalla Commissione di vigilanza e collaudo del porto, per i magistrati di Torino «non ebbe alcuno scopo truffaldino», in quanto in regime privatistico la società è tenuta a mettere a disposizione quella che viene genericamente indicata come «la documentazione in suo possesso». Nelle motivazioni della sentenza di assoluzione viene smontato il teorema accusatorio della truffa realizzata mediante una catena di subappalti finalizzata a gonfiare i costi di costruzione del nuovo porto. I magistrati osservano che «non è neppure vero che i costi siano stati gonfiati» in quanto «l’importo resta il medesimo sino alla fine della filiera dei contratti di subappalto».