ROMA – False residenze ai cinesi in cambio di denaro e tutto, come scrive il Messaggero, grazie alla collaborazione di una dipendente infedele dell’ufficio Anagrafe. L’articolo di Silvia Pasquini:
Una strage che ha sconvolto tutti e che pare provocare in alcuni proprietari di immobili anche dei ripensamenti sul proseguire con l’affittare i capannoni ai cinesi, fino a fare ipotizzare anche delle disdette. Ma mentre Prato si interroga e si tutela, la procura è al lavoro per cercare di chiarire le dinamiche e le responsabilità del devastante incendio, tanto che presto potrebbe arrivare anche il coinvolgimento nell’inchiesta di un italiano, oltre ai quattro cinesi già indagati ai quali faceva capo la fabbrica della morte. Molti sono comunque i tasselli che ancora mancano, poche le persone disposte a collaborare e ad oggi – a cinque giorni dalla strage – non si conosce neppure l’identità di quattro dei sette cadaveri carbonizzati, probabilmente cinesi irregolari.
In questo clima ieri a Prato la guardia di finanza e la polizia municipale hanno scoperto un tassello nuovo sull’immigrazione cinese arrivando ad eseguire 11 custodie cautelari per una presunta associazione a delinquere che avrebbe avuto come scopo l’indebito rilascio di certificazioni di residenza ad immigrati.I sospetti che qualcosa non andasse per il verso giusto sono emersi i primi mesi dell’anno, quando il dirigente dell’ufficio Anagrafe del Comune di Prato ha notato alcuni comportamenti “anomali” di una dipendente addetta allo sportello: erano troppi i cinesi che erano stati iscritti in anagrafe senza che fosse stata delegata la municipale a fare controlli sulla loro effettiva domiciliazione. Una stranezza che ha fatto partire i controlli e che dopo qualche mese di indagini, pedinamenti e intercettazioni, ha portato a scoprire il giro di false residenze. Stando a quanto emerso, i cinesi appena arrivati in zona e intenzionati a non vivere “da fantasmi” si rivolgevano a 7 connazionali, che avevano il ruolo di intermediari-collettori, ai quali consegnavano passaporti e permessi di soggiorno e pagavano “tangenti” da 600 a 1.500 euro. I sette cinesi poi canalizzavano le richieste alla promotrice-capo dell’associazione, una ex dipendente comunale licenziata anni fa per assenteismo la quale, aiutata dai figli, incaricava la dipendente infedele dell’anagrafe (ora ai domiciliari) di accettare le domande così come presentate senza mandare la verifica della municipale. Dai controlli è emerso che risultavano anche dieci cinesi residenti allo stesso indirizzo, ma in realtà nessuno di loro viveva lì.
In quasi otto mesi di tempo i guadagni illeciti della banda stimati dalle Fiamme gialle si aggirerebbero fra i 180mila e i 450mila euro, soldi poi suddivisi fra tutti i componenti del gruppo a seconda dei ruoli. Quadrato il cerchio e raccolti elementi ritenuti dal gip di Prato sufficienti a procedere, ieri mattina sono state eseguite le misure cautelari fra arresti in carcere (per tre cinesi), domiciliari e obblighi di dimora nei confronti delle 11 persone coinvolte nel giro.