MILANO – È attesa per venerdì 18 luglio la sentenza della Corte d’appello di Milano sul processo Ruby. Il primo grado si era concluso con una condanna a sette anni di carcere (e l’interdizione perpetua dai pubblici uffici) per Silvio Berlusconi, accusato di concussione e prostituzione minorile.
Nella sua requisitoria, il pm ha chiesto la conferma della pena. Un’ipotesi che, se presa in considerazione, e se avallata anche dalla Cassazione (la cui sentenza è già stata annunciata tra 12 mesi), avrà risvolti gravissimi per l’ex Cavaliere.
Scrive Roberta Catania su Libero:
Per prima cosa, un’altra condanna definitiva farà saltare il beneficio concesso a Berlusconi dal Tribunale di Sorveglianza di far scontare all’ex premier il residuo di pena di frode fiscale per Mediatrade presso l’istituto di Cesano Boscone, dove Silvio sta facendo assistenza ad anziani e disabili. Ma, soprattutto, una conferma di condanna in Appello e quindi in Cassazione innescherebbero un pericoloso effetto a catena, per il quale salterebbe anche l’indulto ottenuto in precedenza, trovandosi così a dover scontare più di 10 anni.
Ci sarebbero infatti i 7 anni per concussione e prostituzione minorile del processo Ruby, a cui andrebbero aggiunti i 3 anni e 8 mesi ancora da scontare per la frode fiscale. Una condanna troppo aspra per sperare di avere sconti. L’unica partita che resterebbe aperta, sarebbe quella del luogo dove scontare l’eventuale cumulo di pena. La legge ex-Cirielli crea una condizione «privilegiata » per gli over 70, ma «non obbliga» di concedere gli arresti domiciliari: è il giudice di sorveglianza a stabilirlo.
La legge dice che «la pena della reclusione per qualunque reato, ad eccezione di mafia, di terrorismo e a sfondo sessuale può essere espiata nella propria abitazione o in altro luogo pubblico di cura, assistenza ed accoglienza, quando trattasi di persona che, al momento dell’inizio dell’esecuzione della pena, o dopo l’inizio della stessa, abbia compiuto i 70 anni di età purché non sia stato dichiarato delinquente abituale, professionale o per tendenza».
Ma non sarebbe escluso a priori che per Berlusconi si possa aprire una cella del carcere. Le ultime fasi di questo processo che si sta per concludere erano state piuttosto concitate. L’11 luglio il procuratore generale Pietro de Petrisha chiestola conferma della condanna. L’altro ieri, i nuovi difensori di Berlusconi, Franco Coppi e Filippo Dinacci, hanno definito quella di primo grado una «condanna basata su opinioni e su congetture che servono solo a puntellare prove inesistenti ». Un verdetto, quello pronunciato un anno fa nei confronti dell’ex Cavaliere, che i suoi legali hanno tentato di smontare punto per punto per arrivare a sostenere che l’ex premier non«diede un ordine perentorio» né «minacciò» i funzionari della Questura di Milano per ottenere il “rilascio” di Ruby, la marocchina che «riteneva fosse nipote di Mubarak e maggiorenne e con cui non fece mai sesso».
A sorpresa, a prendere le difese dell’ex Presidente del Consiglio, è arrivato anche Il Fatto Quotidiano, il giornale anti berlusconiano per eccellenza. Il cronista di giudiziaria di punta, Marco Lillo, anche fondatore del foglio di Travaglio e Padellaro, scriveva: «Per una volta i legali di Berlusconi non hanno tutti i torti: la condanna di primo grado nel caso Ruby non sta in piedi. Se la pena fosse ridotta in appello non sarebbe uno scandalo. La condanna a sei anni (più l’anno per prostituzione minorile) per la telefonata del 27 maggio 2010 con il dottor Piero Ostuni, punisce troppo severamente Berlusconi e assegna alla Questura la patente immeritata di vittima». Quindi, il giornalista del Fatto individua nel reato di concussione il nodo della questione: «La scelta di contestare la costrizione è figlia della posizione assunta dal Procuratore Edmondo Bruti Liberati, che il 2 novembre 2010, dichiarò: “La Questura ha operato correttamente con Ruby” (…)