ROMA – “Dodici anni di presenza militare e civile, 54 soldati morti e decine di feriti, costi altissimi per le nostre traballanti finanze, nulla è riuscito a rompere il muro della disattenzione nei confronti della guerra che l’Italia sta ancora combattendo in Afghanistan – scrive Franco Venturini del Corriere della Sera – Purtroppo non c’è da esserne sorpresi, in un Paese che non ha una cultura della sicurezza e che non vede come i tempi della delega (agli Usa) siano terminati con la fine della Guerra fredda”.
L’articolo di Franco Venturini: In un Paese, peggio ancora, che conserva un riflesso di sospettoso distacco da tutto quel che è militare, anche se sono state le «missioni di pace», per molti anni, a tenere a galla la nostra presenza internazionale (…) Per l’Italia il governo Letta aveva previsto l’invio di 850 uomini, come la Germania e altri Paesi occidentali. Poi è arrivato Matteo Renzi, e si sono anche rafforzate priorità diverse: la Libia, il Mediterraneo in generale, la sfida dell’Isis con l’invio di uomini e mezzi italiani in Iraq. Il ministro della Difesa Pinotti ha proposto di scendere a 400 uomini, c’è stato da battagliare dietro le quinte, e alla fine si è stabilito che gli italiani saranno 500 senza alcuna modifica nei loro compiti soltanto addestrativi. Già, perché con una svolta che ha provocato molti equivoci i 10.000 militari Usa destinati a rimanere potranno, dopo il primo gennaio, anche continuare a combattere con l’appoggio di aerei e droni. Nessun alleato ha seguito l’esempio americano, ma di fatto è l’intera missione «Appoggio determinato» ( Resolute Support ) a cambiare volto e a diventare più pericolosa. Non è giusto, se non altro per rispetto verso quei 54 che hanno perso la vita, che l’Italia guardi dall’altra parte e che i decisori non sollecitino la sua consapevolezza. Speriamo che almeno il Parlamento sappia che dovrà votare, prima di Natale se non vogliamo arrivare in ritardo a Kabul e dintorni.