Regionali Sicilia, Sandy, moviola in campo: la rassegna stampa

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ROMA – Vince l’asse Pd-Udc, Grillo primo partito. Il Corriere della Sera: “Solo un siciliano su due è andato alle urne. E chi l’ha fatto — il 47,4% — ha scelto Rosario Crocetta, simbolo antimafia ed europarlamentare del Pd, partito che l’ha sostenuto insieme con l’Udc di Casini. Ha ottenuto il 30,5%. La sorpresa è stato però l’ottimo risultato del Movimento 5 Stelle di Beppe Grillo, il cui candidato ha ottenuto il 18,2% dei voti. Ma il vero successo è essere diventato primo partito dell’Isola (14,9%), con il Pd al 13,4 e il Pdl al 12,9. Il candidato di Berlusconi e Alfano, Nello Musumeci (25,7%), è il grande sconfitto di ieri.”

La Sicilia a Crocetta Balzo dei Cinque Stelle. L’articolo a firma di Dino Martirano.

“Il dato più sconcertante di queste elezioni regionali siciliane è quello dell’astensione che supera il 50% e fa registrare un’affluenza in calo di 19 punti rispetto al 2008. Domenica scorsa ha votato il 47,42% degli aventi diritto con punte di non voto ad Agrigento, Caltanissetta ed Enna dove si sono recati alle urne 4 elettori su 10. Rosario Crocetta (ex sindaco di Gela e poi eurodeputato del Pd) si è imposto con il 30,5% dei consensi, che corrisponde a 617.073 voti, grazie al sostegno di tre liste: il Partito democratico (13,4%), la lista Crocetta (6,2%) e l’Udc (10,8%). In totale la coalizione di Crocetta porta all’Assemblea regionale 30 deputati eletti, 8 del listino (premio di maggioranza) e dunque sfiora quota 40 senza però raggiungere i 46 voti necessari per far passare i provvedimenti nel plenum di 90 componenti.”

E ora il Palazzo della Cuccagna aspetta l’ondata delle «zitelle acide». L’articolo a firma di Gian Antonio Stella.

“Stando ai numeri, hanno votato in tutto poco più di 2 milioni di persone su 4 milioni e 650 mila aventi diritto. E quel 31% circa preso dal candidato del centro-sinistra corrisponde più o meno a 650 mila voti. Circa 200 mila in meno di quelli (866.000) presi nel 2008 da Anna Finocchiaro che pure uscì tritata dallo scontro con l’allora trionfante Raffaele Lombardo, sostenuto anche da quell’Udc che ieri stava con Crocetta. E addirittura oltre 400 mila meno di Rita Borsellino che con le sue 1.078.000 preferenze venne largamente battuta da Cuffaro nelle «regionali» del 2006 vincendo in una sola provincia su nove, e cioè a Enna, grazie ai voti portati in dote da Mirello Crisafulli, il più chiacchierato dei leader della sinistra. Fatti i conti, ha sibilato la senatrice berlusconiana Simona Vicari, commissario del Pdl a Palermo dopo la catastrofe delle «comunali», solo un siciliano su tre di quella metà scarsa che ha votato, ha scelto il nuovo governatore. E se è vero che il Pd ha incassato il 13,5% di quel 47% dei votanti, come sottolineavano ieri pomeriggio i sostenitori affranti di Musumeci insistendo sul patto sotterraneo «Croc-ché» tra Crocetta e Micciché, ciò significa che il partito di Pier Luigi Bersani, al di là dei toni trionfalistici, «ha preso solo il 6% scarso dei voti degli aventi diritto. Bel trionfo!».”

L’ascesa dell’ex pci che cita il Vangelo. L’articolo a firma di Dino Martirano.

“Eccolo, dunque, l’europarlamentare Rosario Crocetta che prende le misure con gli stucchi e le passamanerie di Palazzo d’Orleans. Il suo cammino, tra sacrestie e sezioni del Partito comunista italiano, inizia nella periferia di Gela dove nasce il l’8 febbraio del 1951 in una casa popolare: padre precario, mamma sarta, tre fratelli più grandi, studi dai Salesiani che nella città del petrolchimico dell’Eni offrono servizi di base alle famiglie degli operai. Rosario serve messa tutte le mattine ma frequenta anche la cellula della federazione giovanile comunista. Il giovane gelese — che intanto prende il diploma di perito chimico e lavora per l’Eni — respira la passione politica anche in casa dove il fratello Salvatore è il primo a farsi avanti fino a diventare parlamentare del Pdci di Oliviero Diliberto.”

Bersani esulta: «Cose da pazzi…». L’articolo a firma di M.Antonietta Calabrò.

“L’esito del voto siciliano è stato definito da Bersani «un risultato storico», rispetto a una vicenda politica «che dal dopoguerra ad oggi non ci ha mai visto realmente competitivi e che ora pare dimostrare che si può essere anche vincenti». «Noi abbiamo ferma la nostra proposta — aggiunge il leader del Pd — organizzare il campo dei progressisti, cosa che in Sicilia non ha funzionato del tutto, e portarlo a un colloquio con le forze centrali, moderate». Casini però torna a chiedere il divorzio del Pd da Sel (richiesta che Bersani respinge) con un Vendola irritato per il «trionfalismo» dei democratici. «Non voglio consigliare a Bersani come organizzare il suo campo dei progressisti, sono impegnato a organizzare quello dei moderati. Ma, se fossi in lui, dalla Sicilia qualche somma la tirerei e vorrei dirgli che non è più tempo di sommatorie, che non danno sempre buoni risultati ma a volte danno risultati pessimi e indeboliscono», suggerisce Casini.”

Quid o morte. Il Giornale: “Dopo la botta in Sicilia Alfano annuncia le primarie. Il 76% degli elettori si schiera con l’anti-politica. Inutile vittoria del Pd che per governare dovrà inciuciare.” L’editoriale a firma di Alessandro Sallusti.

“Non è andata bene, e questo si sapeva. Ma in Sicilia la ca­duta del Pdl non ha superato, se pur di poco, il pun­to di non ritorno, cosa che era nel novero delle possibilità. At­taccandosi all’aritmetica, e al netto dell’astensione record, la somma delle percentuali ot­tenute dai partiti e movimenti riconducibili al vecchio centro­destra (oggi divisi da faide di partito) perde meno di quanto abbia lasciato sul campo il cen­trosinistra che ha vinto grazie al fatto che si è presentato uni­to. Ma questi sono ragiona­menti da esperti, direi da mani­aci, che lasciano il tempo che trovano. Il fatto è che anche in Sicilia si ammaina la bandiera senza per altro issarne una de­stinata a sventolare a lungo per la fragilità dei vincitori. Angelino Alfano, rompendo un silenzio di due giorni, accet­ta la sconfitta e guarda avanti. Dopo lo strappo di sabato sulla linea ufficiale del partito, qua­si una sconfessione, Berlusco­ni gli rinnova (pur senza appa­rire) la fiducia, un po’ come sta succedendo per Allegri, l’alle­natore del Milan che non rie­sce più a vincere. E lui, Alfano, non rompe, si toglie un sassoli­no dalla scarpa («Il via libera al governo Monti l’ha dato il Ca­valiere »), fa suoi con inedita forza alcuni temi cari all’ex pre­mier ( giustizia, Europa germa­no- centrica, mani libere sulle alleanze) e annuncia di punta­re tutto sulle primarie di parti­to per una definitiva legittima­zione. Sono testimone che i rappor­ti personali tra Alfano e Berlu­sconi restano affettuosi, ma il problema non è questo. Come dimostrano il successo di Gril­lo (trasportato a livello nazio­nale il voto di ieri varrebbe at­torno al 25 per cento) e la ma­rea di astensioni, gli elettori, anche quelli dormienti, si aspettano dal centrodestra pa­role d’ordine forti, chiare e fat­ti conseguenti. Non piace che la gerarchia di partito abbia co­me punto di riferimento Monti e Napolitano, sentire Maurizio Lupi dire al Tg3 che Berlusconi non comanda più e che il gover­no dei tecnici non si tocca è de­vastante, le frizioni tra una par­te di ex Forza Italia ed ex An so­no praticamente irrecuperabi­li, troppe le ambiguità sul ri­cambio degli uomini e sulla lot­ta ai privilegi e ai costi della Ca­sta.”

New York, tour nella città fantasma. La Stampa: “In strada solo la polizia e pochi stravaganti, la gente ha preferito restare chiusa negli appartamenti.” L’articolo a firma di Maurizio Molinari.

“Una Time Square disertata dai turisti, senza bancarelle e con le corsie deserte. I volontari di «350.org» hanno sfruttato la paura dell’uragano Sandy per affiggere l’insegna e il loro combattivo leader Bill McKibben sfrutta la piazza desolata per un’insolita arringa. «Dopo Irene, ecco Sandy, a New York arrivano gli uragani perché l’Atlantico è diventato più caldo, questa è la verità che nessun meteo o candidato presidente osa dirvi», grida McKibben davanti ad uno sparuto gruppo di reporter, dozzine di auto della polizia che presidiano Midtown e lunghe file di vetrine incerottate nel timore che l’impatto di «Frankenstorm» causi danni per milioni di dollari. Nella New York svuotata dalla paura dell’uragano, McKibben è uno degli insoliti protagonisti assieme a Devon, cinquatenne caraibico in servizio nella task force della «Sanitation» a cui spetta intervenire per togliere dalle strade i pericoli più imprevisti. Quando Devon esce da casa a Bensonhurst, Brooklyn, sono le 6.30 del mattino con i venti già forti. L’ordine che riceve per sms è convergere in un punto d’incontro a Downtown per «fronteggiare i flutti». Lunghe file di mezzi biancastri della Città di New York, schierati sulla 23° Strada, annunciando cosa sta per cominciare. La task force si schiera nei due punti di Manhattan più vulnerabili alle inondazioni: Battery Park sul West Side e l’Esplanade Park sull’East Side. Sono le acque dell’East River le prime a sorpassare gli argini. Devon e i compagni usano gru per spostare auto, creano barricate, posizionano centinaia di sacchetti di sabbia. Siamo in una zona A, oggetto dell’ordine di evacuazione, e l’area dove l’acqua straripa viene isolata, svuotata di tutto. Sul fronte opposto dell’isola l’allarme scatta poco dopo, sono le 11.30 ora di New York, ma servono altre unità e, in attesa che arrivino tocca agli agenti della polizia prendere possesso del parco lungo l’Hudson, gridando a squarciagola nei megafoni per chiedere a dozzine di persone di «rispettare l’ordine del sindaco ed evacuare subito». A Downtown lo scenario è da «Day After»: Canal Street è irriconoscibile senza venditori ambulanti, Wall Street ha chiuso i battenti per la prima volta in 27 anni a causa di un uragano e Mercer Street a Soho è tappezzata di protezioni che svelano il timore di un devastante attacco.”

Alta tensione. La Stampa: “Sabato Juve-Inter. Agnelli: “Noi sotto un assedio anormale” Moratti: “Devo pensare sia un errore, spero non si ripeta”. L’articolo a firma di Massimiliano Nerozzi e Tiziana Cairati.

“Un tribunale di arbitri, Gervasoni-Maggiani-Rizzoli, ha umanamente sbagliato sentenza, ma ne è uscita imputata la Juve: «Ci sarebbe da riflettere sul ritrovarsi, domenica nelle trasmissioni televisive e ieri, in uno stato di quasi assedio – sottolinea Andrea Agnelli – che io trovo anormale e atipico». Quel che dice il presidente bianconero, da un giorno lo pensa, lo scrive nei forum, lo grida nelle radio, il popolo juventino. Se n’è accorto anche il numero uno della Federcalcio, non esattamente un ultrà della Juve: «C’è stata una pluralità di errori, uno particolarmente grave che ha avvantaggiato la Juventus – ragiona Giancarlo Abete – ma da qui a parlare di logiche legate a scenari di un certo tipo ce ne corre: evitiamo di criminalizzare i giocatori e le società».”

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FIlippo Limoncelli