ROMA – “Rendite, pagheranno di più 10 milioni di italiani” scrive Valentina Conte su Repubblica, “e dieci milioni di famiglie attendono di trovare 80 euro extra in busta paga dal prossimo primo maggio, altrettante e dalla stessa data si preparano a versare più tasse sui rendimenti dei loro investimenti finanziari”.
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Dieci milioni di famiglie sono cioè finite nel mirino del governo Renzi che ha deciso di aumentare l’aliquota sulle rendite dal 20 al 26% per ricavarne 2,4 miliardi – anche se ieri parlava di due miliardi e mezzo – e così finanziare un taglio del 10% all’Irap, l’imposta pagata dalle imprese. «L’Irap è una tassa odiosa perché più crei posti di lavoro più lo Stato ti tassa», spiega il premier. «Io invece decido di far pagare 100 euro a chi ha una rendita finanziaria, portandola alla media europea dal 20 al 26%. E i soldi non li metto in tasca io, ma vanno a diminuire la tassazione per le imprese».Per ora il provvedimento non esiste. C’è la promessa fatta da Renzi in conferenza stampa (persino il comunicato di Palazzo Chigi sul Consiglio dei ministri di mercoledì tace di Irap). Ed esistono le cifre di Renzi, già ieri contestate sia da Pd che da Forza Italia. Nel primo caso, Francesco Boccia dice che «vanno bene le risorse sul cuneo», ma parla anche di «numeri errati». E cita uno studio della commissione Bilancio della Camera, da lui presieduta, secondo cui «non si andrebbe oltre un gettito di 1,4 miliardi lordo». Cioè senza tener conto dell’abbattimento, la fisiologica fuga dagli investimenti post-stangata (dal 20 al 60%, lui stima). Mentre Renato Brunetta, capogruppo alla Camera di Forza Italia, chiede al ministro dell’Economia Padoan di «chiarire», perché alzando di sei punti l’aliquota «si reperiscono risorse per non più di 780 milioni». Ovvero il 6% di 13 miliardi, pari al gettito fiscale 2013 delle rendite.La patrimonialina parte dunque male. Confusa quanto a cifre. Stando però alle parole di Renzi, i soldi entreranno. E li verseranno quei dieci milioni di italiani che nel 2012 avevano uno stock di 2.172 miliardi (dati Bankitalia) divisi tra depositi bancari (692 miliardi), risparmio postale (341), obbligazioni italiane (373), azioni e partecipazioni in società di capitali (500), fondi comuni di investimento (266). Se per ipotesi si applica un tasso di rendimentonominale del 2% medio su questo stock di 2.172 miliardi e poi il 6% di aggravio voluto dal governo, si ottengono quei 2,6 miliardi extra di cui parlava il premier in conferenza stampa, ovvero 2,4 miliardi al netto dell’abbattimento immaginato da Renzi, cioè la “fuga” dei capitali in altri lidi. «Un calcolo plausibile», per Alberto Zanardi, docente di Scienza delle finanze all’università di Bologna. «Ma bisogna anche dire che questi soldi sonopagati tutti dai “nettisti” e dunque dalle famiglie e dagli investitori individuali, non certo dai “lordisti”, come banche e istituzioni finanziarie, esentati da questa tassa perché poi versano quelle sui ricavi totali, dunqueIrap e Ires».Chi sono questi “nettisti”? L’ultima indagine campionaria della Banca d’Italia rivela che nel 2012 il 93% delle famiglie italiane – oltre 22 milioni – deteneva almeno un’attività finanziaria. Se si escludono tutti coloro che hanno solo un conto corrente – inclusi dal rincaro della tassazione, ma alla fine ininfluenti visto che il tasso di interesse di remunerazione è praticamente zero – si arriva appunto ai 10 milioni di tassabili. E non si tratta solo di “ricchi”. Il 35% è rappresentato da lavoratori dipendenti. Tra questi, il 7,5% ha un capofamiglia operaio e il 13,7% impiegato. Entrambi esposti sia in titoli di Stato (esclusi dalla stangata, rimangono al 12,5%, come i fondi pensione all’11%), che in strumenti più rischiosi, come azioni o fondi comuni. È chiaro che i primi quintili di reddito, ovvero le fasce basse, vanno sul sicuro e nel portafoglio mettono per lo più Bot e conti di deposito (assai diffusi, ma ora a rischio azzeramento guadagni). Mentre le fasce abbienti azzardano con azioni, partecipazioni, fondi, obbligazioni. Specie tra i liberiprofessionisti, gli imprenditori e gli autonomi (il 25% dei detentori delle attività finanziarie). Infine i pensionati. Il 40% di questa ricchezza fatta anche di titoli e stock è nelle mani delle “vecchiette” che Renzi dice di non voler toccare. Inevitabilmente le coinvolgerà, tra libretto alle poste, obbligazioni e fondi.«Gli impatti redistributivi di questa operazione non saranno del tutto irrilevanti», conferma Zanardi. «Senza parlare poi del fatto che ci potrebbe essere anche un effetto una tantum, ovvero gettito garantito per quest’anno, non per il prossimo. Quello cioè legato ai prodotti finanziari i cui guadagni vengono tassati al disinvestimento. È il caso dei fondi che di sicuro consentiranno ai loro investitori di uscire prima di maggio e intascare così un realizzo tassato al 20 anziché al 26%. Nel 2015 però queste plusvalenze saranno sgonfiate. E con loro il gettito». Addio taglio all’Irap strutturale?