Renzi, Il Fatto: “Della Valle effetto domino. Altri big delusi dal Premier”

Della Valle e Renzi (LaPresse)

ROMA – “Come mai ho detto quelle cose di Renzi? Sto dalla parte della gente, come sempre”. Diego Della Valle corre tra un consiglio di amministrazione e l’altro mentre si gode l’onda d’urto delle sue dichiarazioni sul premier: “aria fritta” prodotta da “teatrini da vecchia politica” che si dilettano in un “balletto quotidiano di favori”.

Proprio lui, l’imprenditore delle Tod’s che da anni gioca a fare il rottamatore della finanza contro gli “arzilli vecchietti” (è rimasto Giovanni Bazoli), che a Firenze offriva all’amico Matteo il palco nazionalpopolare dello stadio per tifare insieme per Giuseppe Rossi e Mario Gomez e poi lo abbracciava in strada alla vigilia dell’ingresso a palazzo Chigi, pochi mesi fa.

Scrivono Stefano Feltri e Carlo Tecce sul Fatto:

Ma avere rapporti con Matteo Renzi non è facile, soprattutto per chi vorrebbe trattare con lui alla pari. Della Valle non ha mai voluto fare politica attiva, ma ama il suo ruolo di coscienza civica, l’auctoritas del milionario che insegna l’arte del governo al politico di professione, e sperava di suggerire a Renzi priorità e strategie, di offrirgli una sponda nei salotti un tempo “buoni” del potere. A Della Valle non è piaciuta la riabilitazione di un ex Cavaliere ormai ridotto a comparsa e neanche il ruolo di riformatore conferito a Denis Verdini. Qualche mese fa, al telefono, Della Valle ha esposto le sue critiche a Renzi. È stato l’ultimo contatto. Il patron viola viene descritto come un permaloso, e Renzi è molto competitivo su questo terreno. Bisogna decodificare le parole di Della Valle raccolte ieri dal Fatto Quotidiano per spiegare l’improvvisa ostilità. Non gli sono piaciuti gli “accordi e accordini”, cioè il patto tra il premier e Silvio Berlusconi sulle riforme istituzionali, non gradisce che la Costituzione sia riscritta da qualche “vecchio marpione”, cioè il negoziatore berlusconiano Denis Verdini. E revisioni della Carta non possono essere affidate “all’ultimo arrivato che, seduto a un bar con un gelato in mano, decide cosa fare”. Questa è meno scontata da interpretare: il riferimento è sempre a Verdini che è stato avvistato con il ministro Maria Elena Boschi (“l’ultimo arrivato”) a progettare riforme con in mano un cono del bar Giolitti, di fronte alla Camera. Della Valle non si fermerà qui, non è lo sfogo di un momento, vuole che il messaggio arrivi ben chiaro al premier. Questa sua delusione, bruciante perché segue un amore intenso e pubblico , è condivisa da altri imprenditori che si stanno agglutinando attorno all’uomo delle Tod’s: da Luca di Montezemolo a Nerio Alessandri, che con Technogym è stato l’alfiere dell’imprenditoria renziana, e Alessandro Benetton, rampollo molto renziano della casa di Ponzano Veneto.

Qualcuno comincia a chiamarlo il complotto dei poteri forti, a indicare una certa freddezza di mondi in decadenza ma ancora potenti che non si sentano adeguatamente considerati. Da giorni il notista politico del Sole 24 Ore, Stefano Folli, è caustico sull’impegno renziano per le riforme. Perplessità che sicuramente coincidono con quelle dell’editore, il capo degli industriali Giorgio Squinzi. Sofisticata e meritevole di attenzione la scelta editoriale del Corriere della Sera guidato da Ferruccio de Bortoli: grande spazio all’attacco di Della Valle a Renzi, che merita quasi mezza pagina. Ma la foto che correda il pezzo ritrae l’imprenditore che incespica e affida all’obiettivo il suo lato B, invece del viso. Traduzione del messaggio: il Corriere e i suoi azionisti principali, Giovanni Bazoli di Intesa e forse anche la Fiat di John Elkann, rilanciano le parole di Della Valle per far arrivare il messaggio a Renzi. Ma non per questo rivalutano il padrone della Tod’s che da anni è un azionista piuttosto molesto dentro la Rizzoli e contesta apertamente sia Bazoli che Elkann. Non è ancora guerra, nessuno tifa davvero contro Renzi. E nessuno tra i poteri forti è davvero forte abbastanza per sfidare il 40,8 per cento di consenso del premier. Ma Della Valle si è fatto interprete di un’atmosfera, di un clima generale di accennata insofferenza (…)

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FIlippo Limoncelli