È il giorno dell’incarico ed è anche il giorno in cui Matteo Renzi tornerà a parlare pubblicamente, appena uscito dallo studio di Giorgio Napolitano. «Voglio mandare subito un segnale agli italiani, superare lo strappo di un altro governo che non nasce nelle urne — confida agli amici —. Voglio far sapere che le nostre proposte rispetteranno una tempistica precisa, avranno il metronomo di scadenze prefissate». Alle 10,30 il segretario del Pd sale al Colle per ricevere il compito di formare un esecutivo. Immediatamente dopo comincerà le consultazioni, la più importante delle quali è con Angelino Alfano, principale sostegno della coalizione. Renzi è sicuro che con il vicepremier i problemi saranno ridotti al minimo. «So che Angelino intende collaborare a un progetto riformista. E con lui ho preso un impegno: non sfruculiare il Nuovo centrodestra lavorando ad altre maggioranze». Dovrebbe essere sufficiente a mettere il confronto in discesa perché la vera preoccupazione dell’Ncd sono gli allargamenti a sinistra (Sel), ma soprattutto a destra (Berlusconi).
A metà pomeriggio Renzi si mette in macchina da Firenze e raggiunge Roma. C’è un piccolo giallo su un faccia a faccia con Alfano in serata. Alla fine decidono di rinviare a oggi, per rispettare il passaggio formale al Quirinale. I tempi del resto non saranno brevissimi, come conferma la renziana Maria Elena Boschi: «Non ci hanno chiesto particolari accelerazioni. Prenderemo qualche giorno». Renzi non crede che qualche ora possa disturbare il suo cammino, che in questo spazio si possano infilare nuove polemiche in grado di far saltare l’intesa. «Lasciamo che tutti si sfoghino — spiega ancora ai fedelissimi —. Poi la partita vera saranno i primi tre mesi e le proposte concrete. Lì dobbiamo fare la rivoluzione davvero». Il segretario considera «bandierine ideologiche» quelle messe a sinistra «dai Civati» e a destra «dai Formigoni». «Con Alfano è tutta un’altra storia. Sta al Nuovo centrodestra decidere se essere partner o competitor in questa sfida per cambiare il Paese. Ho segnali che sceglieranno la prima strada».
La questione chiave resta per il momento la selezione dei ministri, la squadra che è il primo atto del governo. Ma in prospettiva, per durare finoal 2018 o giù di lì, i patti sugli equilibri della maggioranza hanno un peso anche nelle decisioni di oggi. «Osservo molti movimenti in Sel e nei 5stelle. Ricevo dei segnali chiari da quella parte». E a destra? «Idem — racconta Renzi alla fine della giornata parlando con gli amici —. Dalla Lega e da Forza Italia, ma non voglio nemmeno pensare a cambiare l’asse dell’esecutivo». Questo è quello che dice anche ad Alfano nelle tante telefonate di questi giorni. Sono parole rassicuranti per il vicepremier, capaci forse di sbloccare velocemente la delicata fase della formazione dell’esecutivo.
Per Renzi è prioritario far passare il messaggio del perché lo sbarco a Palazzo Chigi sia avvenuto con tale rapidità. «La gente deve comprendere le condizioni in cui siamo partiti, anche se solo dopo i 100 giorni sarà perfettamente chiaro il motivo per cui abbiamo accelerato», dice ai fedelissimi. Non si può però sfuggire al primo giudizio sul Renzi 1: la composizione dell’esecutivo. «Cerco un governo di competenti e di persone che fanno in fretta le leggi. Dei semplificatori di problemi, con il coltello tra i denti. Io mi gioco tutto e devono farlo anche quelli che lavoreranno con me».
Rebus Economia, pressing su Letta e Alfano punta sulla vicepresidenza Guerra dice no, ipotesi Bernabè. L’articolo su Repubblica a firma di Alberto D’Ergenio:
Matteo Renzi lavora al programma, ma i contatti per la formazione della squadra di governo non si interrompono. Il Palazzo è in fermento, si registrano rivalità sotterranee (a volte nemmeno ben celate) tra chi aspira a diventare ministro. Il premier in pectore vuole un governo con 16-18 titolari di dicastero, la metà saranno donne. E bisogna trovare i giusti equilibri tra il Pd e gli altri partiti della coalizione. Ma in queste ore la priorità del sindaco è la ricerca di un nome per il posto in assoluto più delicato: l’Economia.
Il futuro titolare del Tesoro deve avere un profilo politico (questa sembra la tendenza di Renzi) e godere di credibilità di fronte ai mercati e in Europa. Per questo vengono date in calo le quotazioni dei tecnici Lucrezia Reichlin (comunque ancora in corsa) e Bini Smaghi. Tra i politici si parla di Fabrizio Barca, ma la scelta non è ancora stata presa. Il Colle segue da vicino la vicenda e non fa mistero di vedere bene l’approdo a Via XX Settembre dell’ex premier Enrico Letta, che però non ne vuole sapere così come Renzi non sembra entusiasta di avere in squadra il suo predecessore. Da due giorni Prodi smentisce seccamente di essere interessato al Tesoro, ma i sismografi della politica più di un movimento intorno al Professore lo registrano. Così come dalle parti di Mario Monti, che però non appare realmente in corsa. Un nome credibile per una poltrona di vice al Tesoro è quello di Benedetto Della Vedova, capogruppo al Senato di Scelta Civica.
Renzi vuole un amministratore delegato di pregio alla guida dello Sviluppo economico. Dopo la rinuncia dell’ad di Luxottica Andrea Guerra sono in corso contatti con Mauro Moretti, l’uomo delle Ferrovie. E in queste ore viene battuta un’altra pista, quella che porta a Franco Bernabè, ex numero uno di Telecom. Resta in piedi l’ipotesi di vedere Montezemolo a un ministero per la promozione del Made in Italy nel mondo, mase l’operazione non andasse in porto potrebbe subentrare Carlo Calenda, ex Italia Futura il cui incarico sarebbe il più classico Commercio Estero. C’è poi la casella del ministero degli Esteri: Emma Bonino è apprezzata (anche dal Colle) ma la sua conferma per quanto probabile non è scontata. Potrebbe essere sostituita da un interno alla Farnesina o da Lapo Pistelli, viceministro con Letta e con una fitta rete di relazioni internazionali. Stesso discorso per Enzo Moavero agli Affari Europei: stimatissimo in Italia (anche lui gode di grande fiducia al Colle) e all’estero, la conferma non è data per certa visto che ilcivil servantche viene da Bruxelles non ha un partito alle spalle. Potrebbero succedergli Sandro Gozi o Federica Mogherini (entrambi Pd, tra i renziani in queste ore la seconda viene data in vantaggio).
Alfano taglia i ponti con Berlusconi “Con i suoi inutili idioti è sceso al 22% ormai sarà difficile fare un accordo”. L’articolo su Repubblica a firma di Umberto Rosso:
Utile idiota della sinistra, come lo ha bollato Silvio Berlusconi? Angelino Alfano non ci sta e lancia l’attacco più duro da quando ha lasciato la casa madre del suo ex leader politico: «E’ lui, è Berlusconi che si è circondato in questi anni di troppi e inutili idioti. Io non lo riconosco più, è irriconoscibile». Un “altro” Cavaliere quello visto all’opera negli ultimi comizi in Sardegna, arringa i suoi militanti riuniti a Roma il capo del Nuovo centrodestra, «sempre più rancoroso, violento, e che in questo modo è riuscito a passare dal 38 al 22 per cento». Il presidente di Forza Italia dichiara di essere ancora pronto a «riprendersi» i trasfughi? Alfano chiude quella porta, «forse si possono riprendere i cagnolini ma non le persone, non siamo Dudù». Parole durissime che naturalmente fanno scattare immediatamente la reazione dei forzisti, che scendono in campo a ranghi serrati contro l’ex segretario del Pdl. Dal capogruppo Brunetta che gli dà dell’ingrato, «le poltrone traballanti destabilizzano Alfano», al consigliere politico Toti che gli consiglia di guardarsiallo specchio quanto parla di inutili idioti arruolati dal Cavaliere, al senatore Minzolini che sentenzia «l’insuccesso gli ha dato alla testa». Per la Biancofiore «è disgustoso», per Capezzone ad Alfano «ci penserà lo sbarramento elettorale». Ma, per usare le stesse parole del leader Ncd, adesso «sarà sempre più complicato» rifare un accordo con Forza Italia. Così la partita che Alfano sta giocando sembra entrata in un nuovo scenario, stretta com’è fra Berlusconi e Renzi. Al sindaco di Firenze chiede di «guardarsi le spalle a sinistra, è da lì che possono arrivargli problemi». Se chiude aSel e ad un centrosinistra politico, e «mette nero su bianco un programma condiviso alla tedesca», il Nuovo centrodestra sarà leale alla maggioranza. «Senza Vendola fra i piedi non saremo riformisti ma rivoluzionari; faremo quella rivoluzione liberale che non ha fatto Berlusconi», scandisce raccogliendo l’applauso più forte della convention dell’Ncd. «Se ci siamo rotti noi di sentire sempre le stesse cose, irrealizzate, su fisco, giustizia, figuriamoci i cittadini».
Tagli e privatizzazioni per trattare con l’Ue. Il Corriere della Sera: “Il rigore di Bruxelles e i (pochi) margini per la clausola che apre a investimenti pubblici.” L’articolo a firma di Luigi Offeddu:
È quella tabellina, scalpellata dall’Eurostat e dalla Commissione Europea, che rischia di ammazzare un po’ di sogni. «Clausola di flessibilità sugli investimenti?», cioè deroghe ai limiti del deficit pubblico che l’Europa concede ogni tanto, a grandi investimenti produttivi che lei stessa cofinanzia con i vari Paesi? Benissimo, ma ecco che cosa dice quella tabellina: Ungheria, quota di cofinanziamento Ue a fondi strutturali e nazionali, 99%: Lituania, 80%; Romania, 39%; Grecia, 38%; Spagna, 10%. E Italia, 8%. Non un piazzamento di prima linea.
Ma i giochi sono ancora aperti. Forse. Soprattutto dopo che, da Roma, è giunta quella frase del ministro uscente dell’Economia, Fabrizio Saccomanni: «Attenti al cambio di passo». Già alla prima sillaba, a Bruxelles, molte orecchie si drizzano, o fischiano. Perché se quel «cambio di passo» allude a qualche futuro urtone al deficit pubblico, programmato da nuovi (o vecchi) governi in cerca di vero slancio o di semplice popolarità, allora qui la platea è già pronta, completa di chi controlla i biglietti e butta fuori chi non vuole pagare: stasera si riunisce infatti l’Eurogruppo, vertice dei ministri delle finanze della zona euro, e alla stessa tavola ci sarà Mario Draghi, presidente della Banca centrale europea, incaricata appunto di vegliare sulla buona salute dei bilanci pubblici europei. Se qualcuno vorrà «cambiare passo» cioè tastare il limite del deficit fissato per tutti al 3% del Prodotto interno lordo, dovrà chiedere al capo della Bce le indicazioni sul ritmo da tenere. Il primo punto all’ordine del giorno dell’Eurogruppo è «Situazione economica nella zona euro» seguito da altri temi fra cui l’unione bancaria. Poi domani si prosegue con l’Ecofin, il vertice di tutti i ministri delle finanze Ue. Ma già ora, il concetto intorno a cui tutto ruota è ancora una volta la «clausola di flessibilità per gli investimenti», la stessa che da giorni alcune fonti danno per persa nel caso dell’Italia. Angela Merkel, per tradizione, la scomunica come lasciapassare per gli spreconi, ma anche sulle scomuniche è passata la ruspa della recessione, e ora quella clausola la chiedono sottovoce perfino alcuni fra gli alleati più fedeli di Berlino: a partire dall’Olanda. C’è poi chi, come l’Italia, la invoca indicando le ferite ancora aperte negli investimenti pubblici dagli anni dell’austerità più dura: Roma, secondo uno studio ricco di dati appena pubblicato per il centro Bruegel di Bruxelles da Francesca Barbiero e Zsolt Darvas, fra il 2008 e il 2011 ha tagliato del 16% i suoi fondi per i servizi pubblici generali, del 26% quelli per la polizia e l’ordine pubblico in genere, del 14% quelli per la protezione ambientale, del 33% quelli per l’edilizia, del 13% quelli per la sanità. Ha invece incrementato del 42% quelli per la difesa.
Conte ne ha per tutti. L’articolo del Corriere della Sera a firma di Roberto Perrone:
La dura lex (sed lex) dello Juventus Stadium non risparmia né le squadre avversarie, nel caso in questione il Chievo, né i «guri» (plurale di guru) molesti (Capello), né si risparmia qualche brutta figura come i fischi a Giovinco. La 12ª vittoria interna (su 12) con 36 gol segnati allo Stadium, mostra una spietatezza casalinga da record, più forte dell’ennesimo passaggio a vuoto in una gara controllata, ma anche di un’eccessiva cattiveria sfogata su Sebastian Giovinco. Al di là del giudizio sulla prestazione, sicuramente il ragazzo della banlieu non è stato a pettinare l’erba. Quindi è buona e giusta la reazione di Antonio Conte che lo abbraccia, lo trascina in panchina (lui voleva andarsene) e urla: «Qui, devi stare qui». E poi, rivolto alla folla: «Vergognatevi».
Non fa sconti, l’allenatore della Juventus. Il suo messaggio è chiaro: se c’è qualcuno che può usare bastone e/o carota in casa sua, questo può essere solo lui. «Guai a chi tocca i i miei giocatori». Non sono tollerate ingerenze. Per cui è durissimo con Fabio Capello, l’ex che (alla Gazzetta dello Sport ) aveva spiegato l’insuccesso della Juventus in Champions con la «scarsa competitività del campionato italiano, con l’assenza di avversari», argomento che manda in fibrillazione il tecnico salentino perché tende a sminuire il percorso bianconero. Conte arriva a dire: «La Juventus di Capello me la ricordo perché le sono stati revocati due scudetti. Non me la ricordo per il gioco. Io mi ricordo la Juve di Trapattoni e di Lippi, non quella di Capello. Non mi ha impressionato, pur avendo dei campioni a disposizione non ha lasciato il segno. E poi, lui, con quell’armata, è uscito nei quarti di finale, quindi mi guarderei bene dal dire fesserie. Quando parla un guru del calcio dobbiamo stare zitti, inchinarci e fare le riverenze. Ma ora il guru non c’è e a quanto pare giochiamo un torneo amatoriale e allora l’anno prossimo chiederò al mio presidente di iscrivermi alla Premier League».
A ogni passaggio televisivo, per regalare a tutti un picco di audience, Conte aggiunge un carico: «Altri grandi ex bianconeri, come Lippi e Trapattoni sono sempre educati e rispettosi del lavoro dei colleghi. Capello guardi a casa sua e pensi a fare un buon lavoro per i Mondiali. I maestri che non conoscono le situazioni altrui, dovrebbero pensare a casa loro dove c’è più puzza che in casa degli altri».
Tra uno show televisivo e l’altro, Conte chiosa quel «due scudetti revocati», con un «ma strameritati sul campo», per non far pensare a un’accettazione delle decisioni della giustizia sportiva del 2006. Non qui, non sotto questa selva di tricolori con il numero 31.
Sochi, Luxuria arrestata e liberata Aveva la bandiera «Gay è ok». L’articolo del Corriere della Sera a firma di Paolo Valentino:
La sera prima era stata al Mayak, il club gay di Sochi, dove per sua stessa ammissione è già «ben conosciuta». Ma la performance è durata solo un giorno. Vladimir Luxuria è stata messa per circa quattro ore in stato di fermo dalla polizia per aver inscenato una protesta fuori dal parco olimpico di Sochi contro le leggi omofobe varate dal governo russo. La notizia è stata data da Imma Battaglia, presidente onorario di Project Gay, che in una nota ha raccontato di aver ricevuto una telefonata dall’ex deputata di Rifondazione comunista, che diceva di essere stata fermata dalla polizia russa, dopo aver agitato una bandiera con la scritta in cirillico «Gay is ok». Secondo Battaglia, Luxuria ha detto che l’atteggiamento degli agenti è stato brutale e aggressivo. L’ex parlamentare sarebbe stata condotta in una stanza isolata. Poi, attorno a mezzanotte, via Twitter, l’onorevole del Pd Ivan Scalfarotto ha comunicato la buona notizia («Ho parlato con Vladimir. L’hanno rilasciata e sta bene, grazie al cielo») confermata da Fabrizio Marrazzo, portavoce del Gay Center, che spiega di aver ricevuto un sms dalla stessa Luxuria: «Sono stata liberata e domani assisterò ai Giochi».
Luxuria, prima transgender eletta nel Parlamento di una nazione europea, era arrivata a Sochi nei giorni scorsi insieme a una troupe delle Iene di Italia 1. «Sono a Sochi! Saluti con i colori del rainbow, alla faccia di Putin», aveva scritto sempre su Twitter, postando una sua foto all’ingresso del complesso olimpico, con un ventaglio arcobaleno.
Poi, in una telefonata a una cronista dell’Ansa, aveva spiegato che «l’obiettivo della sua missione era di protestare contro la legge omofoba di Putin, quella che vieta pretestuosamente la propaganda gay in presenza di minori».
Il piano di Luxuria (che, a quanto pare, non ha intenzione di modificare) era di assistere oggi ad una partita di hockey su ghiaccio al Bolshoy Ice Dome, dove voleva presentarsi con una gonna lunga con strascico, orecchini, bracciali e ventaglio colorato. «Un arcobaleno vivente come provocazione contro una legge assurda, che usa un divieto come pretesto per non parlare dell’omosessualità, nel pregiudizio che si possa trasmettere per il solo fatto di discuterne». Luxuria ha anche definito inaccettabile l’equiparazione tra omosessualità e pedofilia, «che non è una tendenza sessuale ma una aberrazione».