ROMA – C’è turbolenza sindacale a Repubblica e in tutto il Gruppo Espresso. Notizia data da Milano Finanza e dal Fatto quotidiano.
Il nodo è la scelta fra 59 prepensionamenti e la “solidarietà”, sul qualè è saltato l’accordo per lo stato di crisi, che sembrava cosa fatta a dicembre 2013.
Accordo saltato grazie alle firme “pesanti” dei vicedirettori Dario Cresto-Dina, Massimo Giannini e Fabio Bogo.
Tre membri su 5 del comitato di redazione si sono dimessi, riporta Milano Finanza:
“Le tensioni in seno alle redazioni di Roma e Milano del quotidiano La Repubblica fanno saltare il banco delle trattative tra i giornalisti e l’azienda, il Gruppo Editoriale L’Espresso. Oggi pomeriggio, al termine di una lunga a accesa assemblea, di fatto si è spaccato il fronte del comitato di redazione con le dimissioni di tre dei cinque membri. Questo ha portato alla decadenza dell’organismo di rappresentanza interna dei giornalisti e al rinvio sine die della trattativa con l’ad Monica Mondardini e il management della casa editrice“.
Racconta Camillo Dimitri sul Fatto Quotidiano:
“I giornalisti storici di Repubblica, prossimi al prepensionamento, non ci stanno a essere rottamati e fanno saltare l’accordo per lo stato di crisi. Martedì 14 l’assemblea delle firme del quotidiano diretto da Ezio Mauro ha approvato una mozione che rimette in discussione tutta l’intesa già sottoscritta a dicembre con l’azienda per avviare alla pensione anticipata 59 redattori sessantenni passando, come tappa obbligata per legge, da un periodo minimo di cassa integrazione.
Con la prima versione dell’accordo, era teoricamente prevista la cassa per tutti i giornalisti, al di là che poi dovessero o meno lasciare la redazione. Adesso invece con la nuova mozione passata, la maggioranza chiede che la cassa integrazione sia solo per coloro che volontariamente decidono di andare prima in pensione, in modo che possano trattare con più forza una buonuscita o, se non lo desiderino o non giudicano congruo lo scivolo aziendale, possano rimanere in redazione senza rischiare di rimanere intrappolati nel limbo della cig. Proprio perché i giorni di cassa integrazione saranno solo per i giornalisti che intendono ritirarsi dal lavoro. Ed è difficile pensare che molte firme storiche del quotidiano del gruppo editoriale di Carlo De Benedetti vogliano dare forfait anticipatamente.
La mozione che ha imposto il cambio di rotta è stata sostenuta soprattutto dai redattori della sede centrale di Roma, ottenendo la maggioranza anche grazie al voto di alcuni vicedirettori (come Dario Cresto-Dina e Massimo Giannini) e al sostegno dei componenti dell’ufficio centrale con in testa il caporedattore centrale Fabio Bogo.
Col ribaltamento delle richieste da avanzare all’editore e le conseguenti dimissioni dell’organo sindacale interno, il comitato di redazione, che aveva portato alla firma dell’accordo iniziale con i 59 prepensionamenti, adesso il rischio è che si crei una situazione di stallo e l’azienda avvii la cassa integrazione per tutti (essendo prevista dall’intesa già siglata) oppure che proponga l’opzione solidarietà, spalmandola sempre sull’intero organico. Finendo per tornare così al punto di partenza di dicembre, quando le preferenze della maggioranza dei giornalisti (soprattutto i più giovani e quelli delle sedi periferiche come Milano) erano invece andate ai prepensionamenti scartando l’opzione della riduzione generale degli stipendi.
Il pericolo della cassa integrazione per tutti non è forse reale, ma nemmeno una questione solo teorica, se si pensa che l’azienda guidata da Monica Mondardini era partita annunciando 81 esuberi sui 440 giornalisti complessivi e, lo scorso autunno, ha presentato un piano di taglio dei costi del giornale, prevedendo di chiudere il 2013 in perdita per 4,6 milioni di euro. L’intenzione è quella di risparmiare più di 30 milioni di euro, stringendo i cordoni della borsa sulle collaborazioni giornalistiche e chiudendo il mensile di musica XL ma anche riducendo le spese per i centri stampa (potendo cogestirli insieme ad altri editori come ha già annunciato che farà l’ad di Rcs, Pietro Scott Jovane), diminuendo il numero di pagine di Repubblica e la relativa manodopera poligrafica della testata che diffonde in media 323.525 copie cartacee”.