ROMA – “Investire in Italia? Servono soldi e permessi. I primi non ci sono e i secondi sono impossibili: un calvario. Per aprire un bar a Milano serve la firma di tutti i consiglieri di amministrazione della società. Vi immaginate Starbucks e ai suoi consiglieri che firmano per 12mila negozi al mondo? Per piantare una vigna a Montalcino abbiamo dovuto fare buchi e prove antisismiche con cariche esplosive. Dovevamo piantare viti quest’anno ma tutto questo ci ha rallentato, quindi slitteremo al 2014”.
Riccardo Illy, presidente del Gruppo Illy risponde così a Fabrizio Saccomanni che ieri a La Stampa ha dichiarato: “Ho elementi per affermare che dall’estero si torna a investire in Italia. Mi auguro che le nostre imprese seguano l’esempio”. “Ha elementi che noi non abbiamo – ribatte Illy –, sono pronto a ricredermi di fronte a dati concreti, ma per il momento mi sembra una beffa. E il Paese non ne ha bisogno”.
L’intervista de La Stampa a cura di Eleonora Vallin:
La realtà dei fatti, qual è?
«A me risulta che gli investimenti esteri siano dimezzati. E siamo pure ultimi in Europa. Mi sembra che in Italia siano tutti bravi a dire agli altri cosa fare. Noi imprenditori la nostra parte la facciamo, e si fa fatica ad accettare lezioni».
Qualche numero concreto?
«In Illycaffè parliamo di oltre 20 milioni. E nel nostro gruppo abbiamo investito due anni fa 2 milioni in Domori, una cifra importante su un fatturato di 10 milioni e con Mastrojanni più di un milione negli ultimi tre anni. Noi investiamo però, anziché sentirci dire bravi e vederci aiutati da uno stato che riduce spread, oneri previdenziali… ci troviamo ad ascoltare queste favole».
E come legge i vari Pinault e Arnault che comprano pezzi di made in Italy?
«Quelli non sono investimenti; per ora si sono comprati imprese e controllo. Vedremo se investiranno qui davvero o useranno la marca italiana per sviluppare i loro affari altrove».
Saccomanni vede la ripresa. Lei?
«I Brics sono in fase di rallentamento e i Paesi sviluppati in affannato rilancio. L’Europa sembra uscirà dalla recessione ma per entrare in stagnazione. L’Italia è ancora più precaria: abbiamo un debito al 130% del Pil e non riusciamo a fare riforme. In più, il governo fa di tutto per mantenere incertezza e bassi consumi».
Quindi, vede nero per il 2014?
«Nonostante tutto, alcuni segni di ripresa li sentiamo. Soprattutto nel consumo di caffè in casa, dove avevamo perso sia in consumi assoluti sia in decalage, perché l’utente sceglieva marche meno costose. Ma il recupero è timido e faccio fatica a pensarlo di lunga durata» (…)