ROMA – Riceve uomini a casa, giudice ordina: Paghi le tasse. La legge non c’è. Per lo Stato non fa nessun lavoro. Ma le tasse le deve pagare. Ordine del giudice. Protagonista della vicenda, raccontata per Repubblica da Aldo Fontanarosa, è una escort a cui la Guardia di Finanza ha tracciato proventi per circa 3mila euro al mese. E il giudice, ora, le ha chiesto di pagare le tasse. Spiega Fontanarosa
Agenzia delle Entrate allora ha intimato alla escort di pagare l’Irpef, le addizionali Irpef sia comunali sia regionali, i contributi previdenziali, infine l’Iva al 21 per cento sugli “incassi lordi”. Cifre che sono state calcolate al netto della pubblicità che la donna ha comprato sui giornali spendendo anche 4300 euro l’anno. Adesso la Commissione Tributaria provinciale di Savona – che respinge il ricorso della professionista del sesso – aggiunge a tutte queste imposizioni altri 2000 euro per risarcire le spese di giudizio.
La Commissione Tributaria considera “irrilevante” che la professione di “cortigiana” (così nel testo della decisione) non sia regolamentata dall’Italia. E non conta che sia anche “riprovevole” sul piano morale. A questo proposito, la Commissione cita l’imperatore Vespasiano che non esitò a varare una specie di Iva sulla pipì. In sostanza, Vespasiano impose ai proprietari di latrine di versare la centesima venalium sull’urina che essi vendevano ai conciatori di pelle (smaniosi di ricavarne l’ammoniaca). Al figlio Tito che gli rimproverava di risanare le casse pubbliche con un’imposta indegna, Vespasiano rispose che “pecunia non olet”. Il denaro non puzza. Motto che la Commissione Tributaria di Savona adesso fa proprio.
La prostituzione – che la legge italiana non classifica come reato – è “una prestazione di servizio verso corrispettivo”. Dunque può rientrare nel radar del fisco alla luce del Dpr 633 del 1972, soprattutto quando ha un carattere di “abitualità”. Non solo. Anche la sentenza C-268/99 della Corte di Giustizia europea classifica la escort come “lavoratrice autonoma” e senza vincolo di subordinazione a fronte di una retribuzione “pagata integralmente e direttamente dal cliente”. E dunque è legittimo che l’Agenzia delle Entrate reclami – oltre al versamento dell’Irpef – quello dell’Iva.