ROMA – La Venere in pelliccia, La Vénus à la fourrure ha cavalcato cent’anni di storia, di arte, prima romanzo erotico (1870) di Leopold von Sacher-Masoch, poi canzone, Venus in Furs dei Velvet Underground oggi nuovo film di Roman Polanski. Lei, Wanda, giovane vedova ricca e bella e lui, Thomas, il servo, sottoposto a punizioni e umiliazioni via via sempre più pesanti pur di restare accanto alla sua amata.
Entrambi splendidi – scrive Federico Pontiggia per il Fatto Quotidiano entrambi anima e corpo per farci leggere tra le righe la valenza e il valore della traduzione “sado-masochista” di Roman: il meta-discorso sull’autorialità, punteggiato da abbondante autoironia; la psicanalisi; l’ontologia stessa del-l’arte; le geometrie variabili delle relazioni umane, in primis quelle tra uomo e donna. Temi esistenziali, “pesanti”, ma trattati con una leggerezza, un brio e un gusto unici: esercizio di stile, ma insieme esercizio salutare per chi dietro la macchina da presa e davanti allo schermo ama il cinema. Cinema vitale, nella misura in cui promette esibita teatralità; cinema vitale, perché porta con sé l’autobiografia del regista, con il teatro hortus conclusus per un’altra forzata clausura. Arriva da Cannes, Venere in pelliccia, dove avrebbe meritato un premio, e arriva quale secondo capitolo della nuova stagione “teatrale” di Polanski. Dopo Carnage (2011), dalla piece di Yasmina Reza, ecco l’adattamento di quella di David Ives, con un sostanziale cambiamento: qui la parola non annebbia e annega più il dialogo, bensì fa emergere l’inconscio, l’oscuro, l’ineffabile. Operazione salvifica, con la felicità per ospite (in) atteso: Polanski sta bene, ce lo dice con un sorriso. Ora, è pronto per tornare a combattere, con un’autobiografia a specchio: ha in cantiere D, il political thriller sul famigerato affaire Dreyfus. E promette: “Sarà una spy-story molto attuale, tra caccia alle streghe, paranoia per la sicurezza e tribunali militari segreti”. Scommettiamo che Roman tra le immagini insinuerà lo spettro della sua “cattività”: sì, Dreyfus per Polanski?