Salvabanche, lettera Ue: “E’ l’Italia che ha deciso”

Pier Carlo Padoan

ROMA – L’Unione europea non ha detto all’Italia cosa fare o meno sulla questione delle 4 banche poi “salvate” col decreto Salvabanche. Bruxelles ha solo dato indicazioni generiche su quelle che sono le regole europee in materia. E’ quello che chiarisce la Ue a proposito della lettera che il 19 novembre scorso (3 giorni prima che il governo varasse il Salvabanche) i commissari Hill e Vestager hanno inviato al ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan.

Spiegano Federico Fubini e Lorenzo Salvio:

Fino a poche settimane prima il governo aveva pensato di far fronte ai dissesti senza ricorrere al Fondo di risoluzione di modello europeo, che implicava il colpo di forbice sul risparmio. Voleva invece varare un decreto per usare il Fondo interbancario di garanzia sui depositi. Quest’ultimo strumento è alimentato con 2,2 miliardi sempre dai contributi di 208 banche italiane, serve come garanzia dei conti correnti e – secondo il governo – poteva essere usato per Etruria, Ferrara, Chieti e Banca Marche evitando a Bruxelles la contestazione di un aiuto di Stato. Si trattava infatti di risorse private. La speranza era che dunque non sarebbe stato necessario colpire i risparmiatori, cancellando le loro obbligazioni (peraltro già svalutatissime sul mercato). Margrethe Vestager e Jonathan Hill, commissari Ue alla Concorrenza e alla Stabilità finanziaria, non sono d’accordo. Ritengono che un atto di legge che obblighi il Fondo interbancario di garanzia a versare risorse nelle quattro banche produrrebbe comunque un aiuto di Stato: c’è intervento pubblico – pensano – perché lo Stato di fatto espropria risorse private e le dirige dove vuole. Nella lettera che accettano di inviare a Roma il 19 novembre i due commissari scrivono: «Nel caso venga usato un meccanismo di garanzia dei depositi e questo meccanismo venga riconosciuto come aiuto di Stato, la risoluzione delle banche scatta autonomamente in base alla direttiva Brrd (sulla ristrutturazione degli istituti, ndr)». In sostanza, c’è aiuto di Stato in ogni caso e vanno colpiti gli azionisti e gli obbligazionisti subordinati anche se le risorse usate sono di origine privata.

A quel punto il governo si muove di conseguenza:

Quindi il governo si riunisce tre giorni dopo per varare l’operazione nel solo modo che resta: il ricorso al nuovo Fondo di risoluzione di modello europeo – sempre alimentato dalla banche italiane – con il sacrificio di parte dei piccoli investitori. Se l’Italia avesse aspettato fino al 2016, con la piena entrata in vigore della Brrd, avrebbe dovuto colpire anche le obbligazioni più normali e i conti correnti sopra i 100 mila euro di almeno una delle quattro banche. Se avesse ignorato la posizione di Bruxelles e ricapitalizzato le aziende salvando il risparmio, l’effetto sarebbe stato nullo perché i nuovi fondi avrebbero dovuto essere accantonati.

La tentazione di pubblicare quella lettera:

Resta però quella lettera riservata di Hill e Vestager, che taglia la strada alla soluzione meno traumatica. Nel governo la tentazione di pubblicarla è così forte che, a ieri sera, c’era la decisione di metterla oggi stesso sul sito del ministero dell’Economia. Con tanto di controdeduzioni che contestano la lettura di Bruxelles sulla giurisprudenza della Corte Ue. Non è ancora certo che alla fine andrà così. Infrangere la riservatezza del carteggio può senz’altro aiutare Matteo Renzi nelle polemiche sulle banche che divampano in Italia in queste ore. Ma a quel punto neanche il premier sa quanto dovrà aspettare, prima che altri dall’Europa abbiano voglia di scrivere di nuovo a lui.

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Elisa D'Alto