MILANO – Il Teatro la Scala di Milano ha inaugurato la sua stagione lirica con la Traviata di Giuseppe Verdi: quale giudizio per chi non era tra i privilegiati della Prima? Leggiamo il Corriere della Sera, il quotidiano di Milano che anche Verdi leggeva (vedi foto).
La «signora delle camelie» porta, come tutti sanno, una camelia bianca al petto tutto il mese tranne quattro giorni, nei quali ne mette una rossa a segnalare il divieto di accesso. Qui Violetta ne porta una rossa nei capelli nel primo atto, e una rossa nei capelli al secondo.
Da Daniele Gatti sul podio ci aspettavamo almeno correttezza. Non ce la dà come direttore, ancor meno ce le dà come concertatore, concedendo cose inenarrabili, risatine aggiunte, pause, corone, «puntature». La sua orchestra ha un suono bandistico, pur se la banda vera sia discreta. Fa tempi inspiegabili: in «Ah non udrai rimproveri» il povero baritono Zeliko Lucic, che aveva fatto un buon duetto con Violetta, è costretto a un tempo per cui la sua Cabaletta sembra un’Aria dal Mikado di Gilbert e Sullivan, una delle più belle Operette della Storia. Il tenore Piotr Beczala si concede un’incredibile cadenza prima di «O mio rimorso, infamia», e il rigoroso direttore milanese gliele consente. Per il resto dell’atto singhiozza, bela, raglia.
Napolitano ha prima definito l’opera «meravigliosa» e poi, a fine serata, ha dichiarato: «I custodi della tradizione se la sono presi con il regista, ma questo capita». Il presidente del Senato Grasso ha lasciato alla signora la difesa del regista: «Non capisco le polemiche verso chi cerca di attualizzare le opere». Per Pisapia è stata «una Traviata intrigante, perché mischia fasto a semplicità, passato a presente», mentre per il presidente della Regione Maroni (alla sua prima volta), addirittura «strepitosa».Molto articolato il commento del prossimo sovrintendente, Alexander Pereira. «È una messa in scena interessate, forte, non radicale, ma non mi sembra facile fare spettacoli più radicali oggi. Non credo che ci siano voci meglio della Damrau per il ruolo e il regista ha cercato di raccontare una storia d’oggi». E in effetti la Damrau ha avuto un grande successo al contrario dei «buu», come da tradizione, al regista.Le perplessità sulle sue scene si coglieva, però, in alcuni commenti già all’intervallo. Tra gli appassionati, come Cesare Rimini o l’architetto Mario Botta, era prevalsa ancora una certa approvazione per la «regia rigorosa» e il «grande stupore all’inizio dell’opera». E pure in Paolo Scaroni, presidente Eni e consigliere Scala. I rilievi, però, erano in arrivo. A Federico Ghizzoni, amministratore di Unicredit e presidente della Filarmonica è «piaciuta Violetta, molto partecipe; meno la regia». Giorgio Armani ha accennato a costumi «discutibili con qualche colore non azzeccato».
Ieri sera alla Scala Diana Damrau, pur avendo una voce con le possibilità di ben interpretare Violetta, è stata vittima di una regia che ha concepito l’opera di Verdi con molte licenze; anzi, nella scena della cucina, sembrava di partecipare a un programma televisivo dedicato ai piatti per non ingrassare o a qualcosa del genere. Il direttore, Daniele Gatti, è un attento conoscitore verdiano e quando la regia non ha messo lo zampino, ovvero nel momento in cui la Damrau ha dialogato con il solo podio, si sono avuti le situazioni più intense della serata.