Scarcerato imprenditore evasore, senza di lui ditta rischia fallimento

Scarcerato imprenditore evasore, senza di lui ditta rischia fallimento

ROMA – “L’imprenditore è in car­cere per evasione fiscale, ma senza di lui la ditta rischia il falli­mento. E il Tribunale lo manda ai domiciliari, con facoltà di tor­nare in cantiere per evitare il tra­collo dell’azienda”. E’ questa la storia raccontata da Gianpaolo Iacobini del Giornale:

La giurisprudenza forgiata su­gli effetti della crisi inscrive sulle tavole della legge un nuovo prin­cipio. Quello per cui anche in fa­se di esecuzione della pena, nel­la palude della recessione, la tu­tela dei posti di lavoro e la salva­guardia del sistema produttivo prevalgono, comprimendole, sulle ragioni dell’erario. È una decisione innovativa, ma non isolata: i tribunali avevano già fissato più di un paletto allo «Sta­to vampiro» incurante dei pro­blemi delle aziende. In sede pro­cessuale, adattando al caso con­creto la regola dello stato di ne­cessità, avevano sottratto alla forca della condanna e del diso­nore decine di titolari di piccole e medie imprese. Così, ad esem­pio, era avvenuto lo scorso otto­bre per un impren­ditore milane­se che in un periodo di gravi diffi­coltà aveva omesso di versare 180.000 euro d’Iva: assolto per­ché il fatto non costituisce reato, essendo stato il suo comporta­mento imposto dalla «situazio­ne economica aziendale e, più in generale, dalla crisi finanzia­ria del Paese », si apprende dalle motivazioni della sentenza. Ca­so simile, se non identico, a quel­lo d’un suo collega di Valdarno Fiorentino, che l’Iva invece l’aveva evasa per allontanare la bancarotta imminente: causa di forza maggiore scriminante.

Era il 2012: nel mezzo, tante al­tre decisioni analoghe. Ora la storia che arriva da Tuturano, frazione di Brindisi. Protagoni­sta ilcostruttore edile Giuseppe Vero, 36 anni e rapporti non sempre idilliaci con il codice pe­nale. Agli inizi della carriera i guai non mancano: violazioni delle norme sul diritto d’autore, inosservanza degli obblighi in fatto di sicurezza e 40.000 euro di ritenute previdenziali non versate. Il periodo in cui tutto si consuma è racchiuso tra il 2005 ed il 2006, agli albori della gran­de crisi. Quando la giustizia dai tempi biblici compie il suo cor­so, disoccupazione, spread, ca­lo dei consumi e suicidi della di­sperazione sono le parole che scandiscono le giornate dell’Ita­lia che arranca. Condannato a un anno di reclusione per il suo debito con la Cassa Edile, il 15 gennaio del 2014 il giovane fini­sce dietro le sbarre. E poco im­porta che nel frattempo si sia ri­messo sulla retta via, rinuncian­do a scorciatoie e cattive fre­quentazioni, come attestano le relazioni che poi lo riporteran­no a piede libero: il passato non fa sconti, neppure quando lon­tano. La sua ditta, però, senza di lui corre pericolo di morte. «Non vi sarebbe stata alternati­va, specie in un periodo difficile come quello attuale», ricorda il difensore del costruttore, Luca Leoci, che la sua teoria l’ha illu­strata nell’istanza di scarcera­zione. Nel giro di una ventina di giorni è arrivata la risposta. «Il tribunale – gongola il penalista brindisino – ha condiviso la no­stra richiesta: senza il capo l’azienda fallisce».
Il magistrato di sorveglianza, pur rigettando la domanda di af­fid­amento in prova ai servizi so­ciali, ha riconosciuto che «la commissione dei reati oggetto del titolo in esecuzione è ricon­ducibile ad un periodo della vita lavorativa del condannato mol­to difficile sotto il profilo econo­mico » e, soprattutto, ha colto «la grande preoccupazione del prevenuto per le sorti della dit­ta ». Per questo, anche «in consi­derazione dell’attività impren­ditoriale di cui dispone», Vero andrà ai domiciliari, ma con li­bertà di riprendere a lavorare. Basterà una telefonata ai Carabi­nieri. Per informarli dei suoi spo­stamenti e per allungare la vita della «Edil Cla» e dei suoi ope­rai.
Certo la decisione del giudice rischia di innescare veri para­dossi. E se l’imprenditore, una volta libero, tornasse a evadere il fisco sostenendo che, viste le tasse alte,vi è costretto altrimen­ti l’azienda muore? Un circolo vi­zioso. Che fa riflettere. 

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Gianluca Pace