
ROMA – Tutto archiviato. Un po’ come dire che non è successo niente e che tutto è stato fatto nella norma. A Milano lo scontro in Procura si chiude con un niente di fatto, con una archiviazione che stabilisce, di fatto, che il Procuratore capo Edmondo Bruti Liberati non ha violato le regole e che l‘esposto del pm Alfredo Robledo non aveva ragion d’essere.
Settimane di veleni, scambi di accuse, denunce di doppi pedinamenti. Tutto chiuso con un “non è successo nulla”. Come del resto pronosticato dagli addetti ai lavori. Sullo scontro tra pm a Milano sul Messaggero scrive un lungo articolo Silvia Barocci che spiega:
Il pronostico è stato rispettato: con 16 voti a favore, il Consiglio superiore della magistratura ha approvato a larga maggioranza l’archiviazione dell’esposto di Alfredo Robledo contro il procuratore capo di Milano Edmondo Bruti Liberati. La decisione «mi sembra rispettosa delle indicazioni del presidente della Repubblica», si è affrettato a dire il vicepresidente del Csm, Michele Vietti, secondo il quale dal dibattito «è venuto un pressoché unanime riconoscimento che l’operato del procuratore di Milano non ha nuociuto né all’efficacia né alla tempestività delle indagini».
I MALUMORI. Ma per quanto Vietti possa mostrarsi soddisfatto e certo che il clima a palazzo di Giustizia di Milano tornerà sereno, sul voto di ieri pesano malumori e incognite. Per due motivi. Innanzitutto perché la lettera di venerdì scorso del Capo dello Stato a Vietti è stata sintetizzata nei contenuti ma è rimasta «riservata», lasciando in alcuni consiglieri – specie in quelli di Magistratura Indipendente, la corrente più conservatrice delle ”toghe” – il convincimento che essa abbia influito nell’ammorbidire i rilievi originariamente mossi a Bruti Liberati sull’assegnazione del fasciolo Ruby a Ilda Boccassini, anziché a Robledo. Nella lettera di due pagine, infatti, il presidente Napolitano avrebbe ricordato che, a seguito della riforma dell’ordinamento giudiziario del 2006, il ruolo del procuratore capo è da ritenersi fortemente gerarchico.
In secondo luogo, la commissione del Csm competente per i trasferimenti d’ufficio dei magistrati ha sì archiviato l’esposto di Robledo, ma ha anche trasmesso gli atti ai titolari dell’azione disciplinare. Saranno il ministro della Giustizia e il pg della Cassazione (membro di diritto del Csm, ieri astenutosi dal voto per evidenti ragioni di opportunità) a valutare se siano stati commessi illeciti disciplinari da Bruti Liberati o da Robledo. Al primo potrebbe essere contestata la dimenticanza in cassaforte del fascicolo Sea (che a detta del consigliere di Mi Antonangelo Racanelli avrebbe «arrecato pregiudizio alle indagini»). Al secondo la violazione del segreto sul’indagine Expo, i cui atti erano stati inviati al Csm prima ancora degli arresti. Sulla vicenda Ruby, invece, sono stati molto ammorbiditi i rilievi mossi a Bruti per la mancata motivazione dell’assegnazione del fascicolo alla Boccassini. Certo – ha ammesso ieri Vittorio Borraccetti, togato di Md, la corrente di cui Bruti è stato storico leader – «uno sforzo di motivazione si sarebbe potuto fare, ma è stato un errore trasformare l’intera vicenda in un giudizio di Dio sull’intera procura di Milano».
VALUTAZIONI E PENSIONI I veleni a palazzo di giustizia di Milano avranno poi un’altra coda: la vicenda finirà per pesare quando la quinta commissione del Csm dovrà decidere se confermare o meno nel suo incarico Bruti Liberati, i cui quattro anni a capo della procura di Milano scadono tra qualche settimana. Ma ad occuparsene sarà il nuovo Csm: l’attuale chiuderà i battenti alla fine del prossimo luglio. Se riconfermato, Bruti potrebbe in ogni caso lasciare la magistratura nel giro di un anno: il decreto Pubblica amministrazione ha abbassato l’età pensionabile delle ”toghe” a 70 anni, con la sola eccezione di una proroga al 31 dicembre 2015 per chi ricopre incarichi di vertice.
