Sergio D’Angelo sul Giornale: “Ecco come i giudici di sinistra sono diventati un partito”

Sergio D’Angelo sul Giornale: “Ecco come i giudici di sinistra sono diventati un partito”

ROMA –  “Vi racconto come i giudici di sinistra sono diventati un partito…”, Sergio D’Angelo, dalle pagine del Giornale, nel giorno della decadenza di Berlusconi, racconta la storia di Magistratura Democratica: “Negli anni settanta i movimenti eversivi rossi trovarono un appoggio nella magistratura. Così i pm avrebbero fatto la guerra alla borghesia…”

Ecco l’articolo di Sergio D’Angelo sul Giornale:

La magistratura non è più un ordine costituzional­mente riconosciuto, ben­sì un disordine legato soltanto dalla velleitaria individuazione di quello che appare di volta in volta il nemico comune da com­battere. Magistratura democra­tica nacque nel 1964, coagulan­do ­intorno a sé magistrati generi­camente «di sinistra»o«progres­sisti »: i suoi aderenti erano parti­colarmente motivati dall’affe­r­mazione della piena autonomia ed indipendenza dell’ordine giu­diziario rispetto al potere politi­co ed alla struttura gerarchica dei giudici. Il 30 novembre 1969, tuttavia, la formazione si spac­cò: ne uscirono tutte le compo­nenti moderate, accusando la frazione di sinistra di essere tro­p­po sbilanciata a favore dei nuovi movimenti operai e studente­schi sorti nel ’ 68.L’occasione del­la rottura fu rappresentata dal «caso Tolin». Francesco Tolin era direttore del periodico Pote­re Operaio , che il 30 ottobre 69 pubblicò un articolo dal titolo Sì alla violenza operaia , che portò successivamente alla condanna del direttore a 17 mesi di carcere senza condizionale. Una parte di Md si schierò in difesa dell’arti­colo contro i reati di opinione, e successivamente criticò con to­ni molto duri la sentenza di con­danna: atteggiamenti che non fu­rono tollerati dalla parte mode­rata di quel raggruppamento, che diede successivamente vita alla corrente «Impegno Costitu­zionale ».
Questi ultimi, dunque, rimase­ro fermamente ancorati alle re­gole dello Stato di diritto, pur ri­vendicando ai giudici il potere­dovere di applicare integralmen­te i dettami della Carta Costitu­zionale, e la piena autonomia ed indipendenza dell’ordine giudi­ziario rispetto al potere politico, senza mai uscire dai canoni tra­dizionali della legge: certezza del diritto, generalità ed astrat­tezza della norma da applicare al caso concreto. Solo in Italia i movimenti eversivi di estrema si­nistra trovarono un appoggio nella più conservatrice delle cor­porazioni: la magistratura. Fu un caso? Certamente no, e in se­guito se ne spiegheranno le ra­gioni.
Alla neonata Md era necessa­rio fornire un background politi­co che le garantisse una forte connotazione di sinistra (anzi, di estrema sinistra): per questo non c’erano eccessivi problemi, in quanto la maggior parte delle teste pensanti di quel gruppo si erano formate – negli anni ’67/74-nei grandi calderoni poli­tico- ideologici che erano in quel periodo le Università, e trovava­no un forte supporto nei movi­menti antagonisti emergenti. Fu Luigi Ferrajoli, mente finissima e giurista eccellente, poi uscito dalla magistratura per abbrac­ciare la carriera accademica) il cuore pulsante dell’elaborazio­ne politica della nuova Md, che vedeva nei gruppuscoli extrapar­lamentari di sinistra i portatori del «sol dell’avvenire», i quali avrebbero inevitabilmente ab­battuto lo Stato borghese e le sue disuguaglianze di classe.
Con il documento Per una stra­tegia ­politica di Magistratura De­mocratica Ferrajoli – insieme a Senese ed Accattatis – presentò una relazione al congresso della nuova Md tenutosi a Roma il 3 di­cembre 1971, in cui la piattafor­ma politica del raggruppamen­to definiva la «giustizia borghese come giustizia di classe» e la stes­sa Md «come componente del movimento di classe»,che avreb­be dovuto far ricorso alle «con­traddizioni interne dell’ordina­mento: la giurisprudenza alter­nativa consiste nell’applicare fi­no alle loro estreme conseguen­ze i principi eversivi dell’appara­to normativo borghese ». Il giurista Tarello, nella sua re­lazione, concludeva l’interven­to in termini estremamente pre­occupati, affermando che «…questo tipo di analisi politica porta a favorire non una vera in­dipe­ndenza ma piuttosto una di­pendenza e un controllo della magistratura». Nessuno, allora e per molti anni a venire, colse appieno il pericolo (e il segnale) che poteva derivare dalle teoriz­zazioni di Ferrajoli e del gruppo toscano, e dalla critica aspra di Tarello: nessuno, tranne i mem­bri di Md più vicini al Pci e- mol­to tempo dopo – i massimi diri­genti di questo partito.
Una risposta alla strategia poli­tica messa in campo dai giudici di estrema sinistra fu data da Do­menico Pulitanò- giudice di Mi­lano notoriamente legato al­l’epoca al Pci: «La prassi dei ma­gistrati democratici si pone e vuole porsi come alternativa non già ai valori democratico­borghesi (il che rischierebbe di portarci oltre la legalità) ma alle loro deformazioni autoritarie nella giurisprudenza corrente. Si può definire un “uso alternati­vo del diritto”? Il problema è solo terminologico…L’uso alternati­vo del diritto, là dove praticabile, è per noi un problema politico prima che teorico, e la discussio­ne metodologica non deve far perdere di vista il fine politico».
Non servono parole ulteriori per chiarire quale differenza abissale di prospettive vi fosse tra l’estrema sinistra e la sinistra moderata di Md: l’uso alternati­vo del diritto, infatti, non era per nulla un «problema terminologi­co ». Intorno ad esso si giocava una scelta di campo di dimensio­ni storiche, perché, a memoria, per la prima volta una parte con­sistente ( e soprattutto ben attrez­zata culturalmente) della buro­crazia statale si schierava nella lotta di classe, sentendosene pie­namente partecipe.
Dopo di allora, la frazione filo-Pci di Md praticò una sorta di en­trismo: né aderire né sabotare, ma restare in attesa, secondo il vecchio principio leninista pas d’ennemi à gauche («Neanche un nemico a sinistra») nella sua accezione meno truculenta e sta­linista. La magistratura milane­se- dove pure la frazione di estre­ma sinistra di Md era la più forte d’Italia-si adeguò pienamente a questa tattica.

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Gianluca Pace