Sinistra fortunata: il Pd non impara e perde. Luca Ricolfi sulla Stampa

Luca Ricolfi non si capacita anche se l’aveva detto

“La sinistra che non impara dai suoi errori” è il titolo di una analisi di Luca Ricolfi sul voto del 24 febbraio pubblicata dalla Stampa di Torino.  Ricolfi trova

“ben poco ragionevoli”

gli “stupori” di chi

1. “non si capacita che quello di Beppe Grillo sia diventato il primo partito italiano;

2. “non si capacita che le ambizioni «terzo-poliste» di Monti e Casini siano state così severamente punite dagli elettori;

3.”non si capacita che cattolici e comunisti siano praticamente scomparsi dal panorama politico italiano;

4. “non si capacita che Bersani sia riuscito a dissipare un vantaggio che sembrava incolmabile;

5. “non si capacita del ritorno di Berlusconi, una specie di gatto dalle sette vite”.

A lui, Ricolfi,  nulla di quel che è accaduto pare davvero stupefacente: lo aveva scritto, ricorda, più volte sulla Stampa.

A stupire Ricolfi è

“il fatto che la sinistra, questa sinistra un tempo egemonizzata dal Pci e ora tenuta insieme dagli ex comunisti, sia assolutamente incapace di imparare dai propri errori. E quindi sia, per così dire, rigidamente programmata per ripeterli, cocciutamente e senza alcuna speranza di imparare alcunché dal proprio passato”.

“Bersani ha offerto affidabilità, credibilità, rassicurazione (il famoso «usato sicuro») a un elettorato che, semplicemente, voleva prima di tutto un’altra cosa: un rinnovamento radicale della politica. Eppure quella richiesta di cambiamento era chiarissima e antica, visto che aveva già preso forma più di dieci anni fa (era il 2002), con la famosa invettiva-profezia di Nanni Moretti in piazza Navona: «Con questi dirigenti non vinceremo mai!».

“La ragione profonda, per cui la sinistra non sa ascoltare è una soltanto: è la fortuna.

1. ” È riuscita a vincere ben tre elezioni, quelle del 1996, quelle del 2006 e quelle attuali, nonostante la maggioranza degli italiani non l’avesse scelta. La sinistra ha da sempre il problema di allargare i propri consensi al di fuori della cerchia dei propri sostenitori tradizionali, ma non lo affronta mai perché una maledetta fortuna la accompagna in ogni tornata elettorale.

Nel 2006 il consenso di Veltroni era notoriamente molto più ampio di quello di Prodi. Oggi il consenso di Renzi è notoriamente molto superiore a quello di Bersani. Eppure l’apparato del partito non se ne cale: come in un tipico concorso universitario, promuove il candidato interno, o quello che ha le simpatie dei baroni, e dice agli outsider che devono avere pazienza, il loro turno verrà. Se avesse avuto meno fortuna, se non fosse riuscita a nascondere con vittorie tecniche sconfitte politiche, la sinistra avrebbe iniziato ben prima quel processo di rinnovamento che da tanto tempo attendiamo.

2. “Negli ultimi venti anni l’economia, in Italia, è andata sistematicamente peggio che nel resto d’Europa ma, curiosamente, la destra ha governato sempre in anni di congiuntura negativa (2001-2005 e 2008-2011), la sinistra sempre in anni di congiuntura positiva (1996-2000 e 2006-2007). Il nesso è del tutto casuale, perché la congiuntura dipende essenzialmente dal resto dell’Europa, ma mi sono divertito a calcolare le probabilità che – in un quindicennio – la «dea bendata» distribuisca i suoi favori in modo così squilibrato: sono così basse che verrebbe da pensare che la dea non sia bendata come si dice.

3 “La fortuna-sfortuna più importante della sinistra è il suo elettorato. All’elettore progressista piacciono la protesta (voice) quando le elezioni sono ancora lontane, la lealtà (loyalty) al momento del voto. L’elettore di sinistra, secondo tutte le indagini, è il più fedele, il più leale, o il più gregario, se preferite. Può mugugnare, indignarsi, criticare, parlare male del Pd per anni e anni ma poi, arrivato al dunque, immancabilmente mette la crocetta nella casella giusta.

Conclusione:

“Con ciò, verosimilmente, raggiunge lo scopo che si prefigge (togliere voti all’odiato Cavaliere), ma ottiene anche un effetto che forse non desidera: quello di permettere alla classe dirigente del Pd di rimandare, ancora una volta, il momento di cambiare. Rinunciando a inviare ai politici l’unico segnale che essi (talora) mostrano di comprendere, l’elettorato di sinistra è destinato a tenersi i dirigenti che ha. Non per sempre, perché nessuno è eterno, ma più del necessario, questo sì”.

 

Published by
Marco Benedetto