ROMA – Il datore di lavoro non può conservare le conversazioni Skype dei dipendenti. Neanche per documentare una condotta denigratoria ai danni dell’azienda e neppure se il lavoratore ha lasciato attiva l’icona di Skype sul computer della postazione lavorativa.
Il principio, come riporta Ciccia Messina su Italia Oggi,
è stato affermato dal Garante privacy (provvedimento n. 345 del 4 giugno 2015, solo ora reso noto), che ha accolto il ricorso proposto da una dipendente che lamentava l’illecita acquisizione, tramite un apposito software, di conversazioni, avute con alcuni clienti e fornitori, poste poi alla base del suo licenziamento.
Alla base della pronuncia il garante pone le norme costituzionali sulla segretezza della corrispondenza, valide anche per le comunicazioni di tipo elettronico o telematico scambiate dai dipendenti nell’ambito del rapporto di lavoro. Le motivazioni della condanna del datore di lavoro invocano anche le linee guida per posta elettronica e Internet (adottate dal garante il 1° marzo 2007 e pubblicate in Gazzetta Ufficiale n. 58 del 10 marzo 2007), che vietano condotte lesive della personalità del lavoratore.
Nel caso esaminato una lavoratrice, andando in ferie, ha lasciato il proprio computer acceso con l’icona Skype in evidenza, dando la possibilità di leggere le conversazioni intrattenute dalla dipendente. Inoltre il datore di lavoro ha installato sul computer in uso alla dipendente il programma SkypeLog View, dopo aver preso conoscenza dell’inoltro di comunicazioni denigratorie a soggetti esterni all’azienda e al solo scopo di documentare le conversazioni e non di controllare la dipendente.
L’articolo completo su ItaliaOggi di martedì 29 settembre.