ROMA – Le ultime evoluzioni della crisi di Sorgenia trovano spazio sui quotidiani di venerdì 7 marzo:
Sorgenia propone un aumento da 190 milioni. A firma di Luca Pagni su Repubblica:
“Un aumento di capitale da 190 milioni per Sorgenia, di cui la controllante Cir garantisce per la sua quota (il53 per cento del capitale) e quindi con una cifra attorno ai 100 milioni. A patto che ci sia un accordo complessivo con le banche creditrici per raggiungere una riduzione del debitonetto di 600 milioni.
E’ questa la proposta approvata dal consiglio di amministrazione della società attiva nella produzione e vendita di energia, gravata da un debitoche sfiora 1,9 miliardi di euro. Un proposta formale che Sorgenia ha inviato alle 21 banche che negli anni hanno finanziato il gruppo della famiglia De Benedetti, e da cui si attende una risposta già nei prossimi giorni.
Il documento si inserisce nella trattativa per la ristrutturazione del debito che vede impegnati, dal dicembre scorso, i manager di Cir e di Sorgenia con le banche creditrici, da quando è stata comunicata ufficialmente l’insostenibilità della posizione finanziaria. In sostanza, il calo della redditività del gruppo causato dal crollo della domanda di energia da parte dell’industria in seguito alla recessione e dallo sviluppo delle fonti rinnovabili, non riesce più a garantire l’adeguato flusso di cassa per ripagare il debito. L’ad Andrea Mangoni ha presentato un nuovo piano industriale per il rilancio della società; ma per raggiungere risultati positivi occorre un accordo con le banche creditrici (…)
Sorgenia presenta alle banche il piano sui debiti in eccesso. A firma di Cheo Condina sul Sole 24 ore:
(…) La ricapitalizzazione farebbe parte di uno schema più ampio, elaborato dal gruppo energetico, riguardante la manovra finanziaria da 600 milioni, ovvero l’indebitamento giudicato in eccesso (su 1,8 miliardi complessivi) dal management nel nuovo piano industriale. Per raggiungere quella cifra, infatti, la proposta di Sorgenia alle banche contempla anche la trasformazione di 400 milioni di debiti in strumenti partecipativi e la copertura dell’inoptato da 90 milioni dell’aumento di capitale attraverso la conversione di debito in azioni.
Così facendo, Cir resterebbe con l’attuale quota di controllo immutata (pari al 53%), Verbund (oggi al 46%, ma disinteressata all’aumento) risulterebbe fortemente ridimensionata, mentre il blocco bancario diventerebbe di fatto il secondo socio. Ciò senza sottovalutare il tema della governance, in particolare per quanto riguarda i diritti (e l’eventuale remunerazione) degli strumenti partecipativi.
Questa sarebbe la proposta avanzata da Sorgenia agli istituti di credito, che negli ultimi vertici, seppure con vedute non certo unanimi, hanno però dimostrato di avere un’idea diversa di quello che dovrebbe essere il riassetto e il potenziale rilancio del gruppo guidato da Andrea Mangoni. In particolare, le banche – seppur a fronte di una condivisione del business plan presentato a dicembre – vorrebbero da Cir uno sforzo di almeno 150 milioni; in cambio, per arrivare al target di 600 milioni, metterebbero sul piatto un prestito convertibile da 150 milioni e la conversione in equity di altri 300 milioni di debiti. Su quest’ultimo punto, tuttavia, c’è chi vorrebbe azioni Sorgenia (è il caso di Mps) e chi invece preferirebbe strumenti partecipativi, una forma di partecipazione al capitale più “leggera”. Anche in questo caso, e soprattutto in caso di conversione in azioni, la governance giocherebbe un ruolo cruciale, in particolare in un’ottica di medio periodo, in cui Sorgenia potrebbe essere chiamata a scelte strategiche quali possibili aggregazioni con altri operatori energetici (…)
Ora le banche minacciano di abbandonare Sorgenia. A firma di Gian Maria De Francesco sul Giornale:
Le banche creditrici di Sorgenia sono irritatissime dopo che il cda della società energetica del gruppo Cir ha deliberato un aumento di capitale di soli 190 milioni. La cifra, considerando il disimpegno dell’austriaca Verbund, corrisponde ai 100 milioni che la holding dei De Benedetti si era già da tempo impegnata a versare.
Una mossa che smentisce quelle timide aperture di Cir che alcuni dei partecipanti al vertice di lunedì scorso avevano colto. Senza un impegno minimo di almeno 150 milioni, i creditori non sono disponibili a convertire 300 milioni dei 600 di extradebito di Sorgenia in capitale. La cassa sta per esaurirsi e il rischio che la situazione precipiti è concreto. Nella nuova riunione di settimana prossima (anche se i contatti sono pressoché quotidiani) le banche ricorderanno che, in mancanza dei 150 milioni, potrebbe venire meno pure la loro disponibilità, ancorché le procedure concorsuali equivarrebbero a una pietra tombale sui crediti in sofferenza.
Occorre,tuttavia,tenere presente che l’ostinazione del presidente Rodolfo De Benedetti e dell’ad Monica Mondardini non è di per sé immotivata. Il gruppo Cir ha in cassa circa 350 milioni rivenienti in massima parte dalla sanzione irrogata a Fininvest sul Lodo Mondadori. Di questa somma, circa 260 milioni sono fattualmente vincolati al rimborso anticipato del bond Cir 2024 che prevede una clausola di cross default nel caso una controllata non ottemperi ai debiti finanziari ed è il caso di Sorgenia. Né il Trustee (gestore) né gli obbligazionisti hanno preso una decisione definitiva, ma la probabilità che i sottoscrittori chiedano indietro il capitale è elevata. Ecco perché quei 100 milioni rappresentano un «tabù»: una maggiore ricapitalizzazione di Sorgenia potrebbe indebolire la controllante cui mancheranno anche i dividendi di Sogefi (automotive) ed Espresso (editoria).
Le banche, inoltre, non possono contentarsi del celere avvio del piano di dismissioni predisposto dall’ad di Sorgenia, Andrea Mangoni. Il fotovoltaico (5 Megawatt) è in via di cessione al fondo americano Contour Global per una cifra compresa tra 20 e 30 milioni, mentre il 75% della controllata Menowatt è stato venduto al management per un milione. Non sono certo queste le manovre che potranno cambiare il corso degli eventi (…)