
MILANO – “Mi aveva convocato come teste a suo favore ed ero andato in Tribunale per dovere civico, lo rifarei. Ma non avevo niente da dire in sua difesa. Tanto che penso abbia chiamato me e l’altro testimone (Lorenzo Alberto Claris Appiani che è rimasto ucciso, ndr ) perché aveva già in mente di spararci”. A parlare è Stefano Verna, commercialista, 50 anni e due figlie piccole, dal letto della Clinica Santa Rita da dove sarà dimesso oggi. Un proiettile gli ha trafitto il piede frantumandogli le ossa e un altro ha preso la coscia, a un soffio dall’arteria femorale.
Verna era fuori dell’aula dove Claudio Giardiello, nei 3 minuti di follia, ha ucciso due persone ferendone gravemente un’altra. “Ero seduto, aspettavo di fare la deposizione e ho sentito degli spari. Ho visto l’ex cliente correre fuori con sguardo spiritato e sconvolto, d’istinto mi sono voltato per scappare ma ho sentito una terribile fitta al piede sinistro, poi un’altra alla gamba destra”.
L’intervista di Elisabetta Andreis sul Corriere della Sera:
Mentre Giardiello proseguiva la sua corsa Stefano si è precipitato giù dalle scale, «col dolore e il sangue che usciva», fino all’uscita del Tribunale.
«Parevano tutti impazziti, un formicaio dove ognuno correva in direzione diversa, tra uffici e corridoi. Alcuni si erano barricati in cancelleria. Una scena che non dimenticherò mai». Appena fuori da Palazzo di Giustizia, si è steso a terra. L’ambulanza si è fatta attendere quasi mezz’ora: «Un medico che passava di lì e si è fermato; mi diceva “Tieni gli occhi aperti, pensa alle tue figlie”. Ho avuto paura, poco dopo ci hanno detto che c’erano dei morti…».
Era cominciato tutto il 19 marzo: a Stefano arriva la lettera del legale di Giardiello, Michele Rocchetti. Lo invita a comparire in aula per testimoniare in difesa del suo cliente. E lui, che da 9 anni di quella storia non aveva sentito più nulla, torna indietro con la memoria.
«Abbiamo frequentato per anni la stessa palestra, era per bene e simpatico, sicuro di sé. Forse un po’ sopra le righe, amante del lusso. Girava con una Mercedes coupé e parlava molto dei suoi affari — racconta Verna —. Nel novembre 2005 mi chiese di assisterlo per dirimere le controversie sorte coi suoi soci per le società immobiliari Miani, Washington e Magenta (il processo era per la bancarotta di quest’ultima, ndr). Col mio studio ho accettato». Tutto fila liscio per quattro mesi: «Rilevate le irregolarità contabili e di gestione, con presunti passaggi di denaro in nero, eravamo vicini a un accordo che avrebbe fatto uscire il cliente con una liquidazione di un milione di euro mettendo fine alle liti». Una cifra da capogiro, di cui essere soddisfatti. Ma a quel punto — ed era marzo 2006 — qualcosa succede. «Giardiello cambiò, l’atmosfera si fece tesissima. Alzava continuamente la posta, nessuna transazione pareva sufficiente, divenne molto aggressivo, urlava. Diceva ossessivamente del nipote: “Mi deve chiedere scusa in ginocchio”. Si è messo contro tutti, nessuno escluso. Scoperto che aveva il vizio del gioco abbiamo iniziato a dubitare delle sue ragioni».
