Lo stanco bis salva-Cancellieri, Filippo Ceccarelli per Repubblica

Lo stanco bis salva-Cancellieri, Filippo Ceccarelli per Repubblica

ROMA – Una seduta stanca, un’aula distratta quella ieri Montecitorio “sembrava Montecitorio appena 15 giorni fa, ma molto peggio. Stesso argomento, stesso ministro protagonista, stessi comprimari, stesse chiacchiere, stessa visione dall’alto della tribuna stampa, stesso clamore nell’aula, stessi banchi semi pieni e semi vuoti, stessi governanti a occhi bassi, immoti e trafitti dalla livida luce del velario, stesso linguaggio pappagallesco di questo tempo”.

Filippo Ceccarelli, dalle pagine di Repubblica, ricostruisce, racconta le giornate parlamentari tra un voto pro e contro Cancellieri e l’altro:

E come allora il Pd è diviso, ma di nuove inghiotte l’amaro bocco; e al solito Berlusconi ha altro cui pensare, però ancora spera e combatte; e le larghe intese seguitano ad accartocciarsi, per quanto Napolitano continui a lavorare per tenerle in vita. Ma che fatica, intanto, sentire l’onorevole Locatelli che con inconsapevole umorismo invoca la «caccia alle streghe »; che inutile stanchezza vedere i grillini che inaugurano laprotesta dei telefonini, li alzano al cielo, al fregio del Sartorio, e li fanno trillare, drìììììn, drìììììn, che trovatona!
«Che tristezza!» esclama a un certo punto Brunetta, pure efficace nella sua concione a tratti granguignolesca, «la danza macabra» del Pd attorno a Letta, accipicchia. Alza i toni sul Parlamento «trasformato in sala giochi per “civatiani”, “cuperliani”, “renziani”, “lettiani”». Però in aula la tristezza c’è veramente, anche senon per i motivi del capogruppo di Forza Italia, ma perché questa pazza replica, questa ripetitiva compulsione allontana ogni storiaccia di potere dalla realtà, gli fa scivolare sotto ombre, bugie e favoritismi, stravolge e immiserisce il confronto a scenata da tifoseria, e il momento più basso della rappresentazione, il mezzo pathos concesso ai colleghi sulle gradinate è stato quando il presidente dei deputati del Pd, Speranza, si è rivolto ululando ai cinquestelle egli faceva con le dita delle mani il numero 6, che nelle sue intenzioni corrispondeva al 60 per cento dei voti ottenuti dalla sua parte in Basilica — dove l’astensionismo ha raggiunto la maggioranza.
Quindici giorni, nella memoria degli osservatori, sono un nulla e i ricordi si accavallano fino a creare il più caotico senso di smarrimento e di inutilità. I carceri sovraffollati, il figlio della ministra, lo shopping dell’imputata, la voglia di Renzi, il messaggio di Napolitano, la decadenza del Cavaliere, il sacrificio della ministra Idem, le meditazioni di Cicchitto (curiosamente incastonato fra Brunetta e la Biancofiore) sull’umana imperfezione, il sindaco agli arresti di Adro, gli F35 e i braccialetti elettronici.
Alla fine l’ennesimo e sconsolante pastrocchio s’intravedeva all’orizzonte, prodotto del pazzotico revival a strettissimo giro. Il povero Epifani, forse in quanto segretario transitorio, se n’è fatto interprete e quasi gli fa onore: «Questa mattina, venendo qui, pensavo alle cose da dire, ma anche a come ci potrebbe vedere un osservatore che viene da fuori. Noi che siamo da settimane a discettare su una telefonata, sul suo contenuto, su una virgola, su una parola, su un aggettivo». E qui ha preso fiato, perché il peggio era lì appresso: «Ma vedo adesso un’altra telefonata di cui si discute, si discetta e si valuta…». Ecco dunque, si ricomincia, non c’è due senza tre, non c’è replica senza dissennata stramberia.
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Gianluca Pace