ROMA – Piano per tagliare le bollette. Il Corriere della Sera: “Visco (Bankitalia): tornare a crescere, ridurre il debito.”
«Damasco ha usato il sarin» Kerry paragona Assad a Hitler. L’articolo a firma di Guido Olimpio:
“Centodiecimila morti. Un Paese in rovina. Ma Bashar Assad si consola irridendo Obama. «L’America (stoppando il blitz, ndr) si è esposta al sarcasmo del mondo», ha affermato il vice premier Qadri Jamil. Poi altri trionfalismi dello stesso raìs e dei gerarchi: «Siamo pronti ad affrontare qualsiasi minaccia… Usa grandi perdenti… È iniziata la loro ritirata… Stiamo passando da una vittoria all’altra…Obama confuso e indeciso… Il Congresso dimostri saggezza». È evidente che a Damasco se la giocano sul piano propagandistico. Il regime aspetta le future mosse statunitensi e conta sull’aiuto di Putin all’Onu e in occasione dell’imminente vertice del G20. Momento importante anche per gli Usa che cercano di convincere la comunità internazionale sulle responsabilità siriane nell’uso dei gas ma anche per trovare soluzione politiche. Obama può dire a Putin: mi hai chiesto di riflettere e l’ho fatto, ora tocca a te agire su Assad. Da Israele suggeriscono che la Siria potrebbe trasferire il suo arsenale chimico proprio in Russia. Washington non ha comunque rinunciato a martellare sulla responsabilità del raìs. Ieri il segretario di Stato Kerry ha trascorso la mattinata in cinque reti televisive per denunciarle. Il capo della diplomazia ha sostenuto che prove arrivate nelle ultime 24 ore hanno confermato l’impiego del sarin nelle zone a sud est di Damasco. Poi ha aggiunto che Assad è entrato «nella stessa lista con Hitler e Saddam» e dunque andrebbe stoppato. Nel caso il Congresso si metta di traverso il presidente potrebbe impartire l’ordine di attacco. A sorpresa, il Dipartimento di Stato ha trovato un alleato d’eccezione, l’ex presidente iraniano Hashemi Rafsanjani. In una dichiarazione all’agenzia Inla ha sposato la tesi Usa e anche a suo giudizio è stato il regime a mietere vittime sparando il gas. Dopo qualche ora l’Inla ha fornito un nuovo testo privo, però, delle clamorose accuse. Lo «squalo» certamente ha ottime fonti e da Teheran, nei giorni scorsi, erano emerse valutazioni non dissimili anche se sfumate.”
«Guerra chiama guerra» E il Papa proclama un giorno di digiuno. L’articolo a firma di Gian Guido Vecchi:
“S’affaccia alla finestra e dice «buongiorno», come sempre, ma stavolta non sorride. L’Angelus più drammatico del suo pontificato, «pensiamo: quanti bambini non potranno vedere la luce del futuro!», è un testo che Francesco ha passato il sabato a limare dopo aver convocato un incontro «collegiale» con i vertici della diplomazia vaticana per stabilire una linea d’azione sulla Siria. Parole che tengono insieme l’orrore per la guerra in corso e il no della Chiesa all’intervento meditato dagli Usa: «Il mio cuore è particolarmente ferito da quello che sta accadendo in Siria e angosciato per i drammatici sviluppi che si prospettano». Il Papa esorta la comunità internazionale a promuovere «il dialogo e il negoziato» e annuncia un’iniziativa planetaria che richiama lo spirito di Assisi ma è senza precedenti: una giornata «di digiuno e preghiera per la pace in Siria, nel Medio Oriente e nel mondo intero», sabato prossimo, alla quale Francesco invita ad «unirsi, nel modo che riterranno più opportuno» anche gli altri cristiani, i fedeli di altre religioni e pure «quei fratelli e sorelle che non credono», perché «la pace è un bene di tutta l’umanità che supera ogni barriera». Tutte le chiese del mondo sono mobilitate, il 7 settembre lo stesso Papa guiderà la preghiera in San Pietro dalle 19 a mezzanotte, «l’umanità ha bisogno di vedere gesti di pace e sentire parole di speranza e di pace!».”
Il marchese di Lafayette e le patatine fritte. L’amicizia instabile di Francia e America. L’articolo a pagina 5 de Il Corriere della Sera:
“Si chiama Assassin’s Creed 3, un videogame di una serie di enorme successo presente su pc e consolle di mezzo mondo. Ambientato durante la Guerra di indipendenza americana (1775-1783), a un certo punto fa entrare in gioco (è il caso di dirlo) il marchese di Lafayette, il generale francese di nobile nascita che in nome della libertà attraversò l’oceano per andare a combattere al fianco dei coloni contro il dispotismo britannico. Una presenza, in un prodotto di largo consumo di produzione americana, che non stupisce nessuno. Lafayette (che diventò grande amico di George Washington, il primo presidente degli Stati Uniti e che in seguito se ne tornò in Francia a battersi contro la monarchia assoluta, salvo poi essere costretto a espatriare quando la Rivoluzione francese prese decisamente la strada del radicalismo giacobino) è conosciuto da ogni studente a stelle e strisce ed è diventato con gli anni il simbolo dei profondi legami che uniscono la Francia agli Stati Uniti, al di là delle contingenze che possono vedere i due Paesi divisi in politica estera. Così il fatto che in questa occasione il primo ministro François Hollande si sia schierato sulle posizioni di Barack Obama non deve stupire più che tanto. Certo, la differenza rispetto al conflitto iracheno fa impressione. Come dimenticare le mitiche Freedom Fries che nel menu della caffetteria del Congresso Usa (l’equivalente della nostra buvette di Montecitorio) presero il posto delle French Fries, come vengono chiamate le patatine fritte nel linguaggio comune anglosassone? Era il 2003 e la Francia, allora sotto la presidenza Chirac, era a tal punto contraria all’invasione dell’Iraq da diventare il Paese capofila dell’opposizione alla politica estera di George W. Bush. Così cominciò il fenomeno delle Freedom Fries, la patatine della libertà che mutuarono il nome da Enduring Freedom, l’insieme delle operazioni lanciate dagli Stati Uniti dopo gli attentati dell’11 settembre. Le Freedom Fries furono servite non solo al Congresso ma in numerosi fast food e tavole calde sparse negli Stati Uniti. Poi finirono nel dimenticatoio quando anche in Usa l’esaltazione lasciò il posto al disincanto: furono tolte senza clamore dal menù della Camera dei rappresentanti il 2 agosto 2006 (fonte Wikipedia).”
Violante va in sezione: le garanzie valgono anche per Berlusconi. L’articolo a firma di Gianni Santucci:
“Circolo del Pd in via Masserano, ore 14 e 30 di ieri, strada assolata e semideserta, la signora Vittoria Silvestri, accesa e accorata militante, arriva in anticipo, scende dall’auto e si ritrova di fronte qualche giornalista. Alla prima domanda che la stuzzica sull’accusa di intelligenza col nemico a carico di Violante, lei esplode: «Se il Pd salva Berlusconi succede una mezza rivoluzione». «Ma che spiraglio gli vogliono dare?». «Ma li mortac … loro!» (l’inflessione, come l’espressione, è assai poco sabauda). Per il resto del pomeriggio, in quasi tre ore di dibattito non c’è nessuna contestazione. Tutt’altro. Di fronte a quasi tutti i dieci senatori piemontesi che gli hanno chiesto un confronto, Violante ribadisce e approfondisce i concetti che, dopo la sua intervista al Corriere , hanno animato (in parte avvelenato) gli ultimi giorni del Pd: «Non ho mai proposto salvacondotti per Berlusconi. Ripeto però che gli va garantito pieno diritto alla difesa». E ancora: «Non ho detto che la giunta del Senato deve sollevare eccezione di costituzionalità sulla legge Severino, ma che può farlo qualora lo ritenga corretto». Infine, un messaggio a chi l’ha «accusato con inaccettabile livore» (e «traditore» è stato tra gli epiteti più teneri): «Un partito si confronta. E misura la sua maturità se riconosce pieni diritti anche al suo peggior avversario».”
Il Cavaliere valuta l’ipotesi clemenza. E non esclude di parlare in Giunta. L’articolo a firma di Lorenzo Fuccaro:
“Silvio Berlusconi si trova nella villa San Martino ad Arcore, dove resterà fino a domani. Oggi a pranzo, come di consueto, incontrerà i famigliari e gli amici più stretti (la figlia Marina e Fedele Confalonieri, Ennio Doris, Bruno Ermolli) che guidano le imprese della galassia Mediaset, gli avvocati e, forse, sarà presente anche Gianni Letta. Con loro farà il punto su una situazione incertissima perché al momento non è chiaro come si possa rendere effettiva l’agibilità politica del leader del centrodestra. La riunione di Arcore si colloca all’avvio di una settimana importante non soltanto dal punto di vista economico finanziario per i titoli Mediaset. Mercoledì 4 si riunisce l’ufficio di presidenza della Giunta per le elezioni del Senato per decidere come procedere quando, lunedì 9, l’organismo parlamentare nel suo complesso comincerà a esaminare i dossier che riguardano la decadenza dell’ex premier. Come agire? Berlusconi si trova di fronte al dilemma, perché qualunque possa essere la sua decisione al riguardo, essa avrà inevitabilmente dei riflessi sui corsi borsistici delle aziende riconducibili a lui. La scorsa settimana le azioni hanno avuto un andamento oscillante, legato alle fluttuazioni politiche dovute alle sortite del Cavaliere. Ecco perché quello di oggi è un meeting particolarmente delicato. «Sarà l’occasione di decidere cosa fare perché sul tavolo ci sono diverse opzioni», afferma uno dell’inner circle ammesso a tali incontri. Ma alla domanda (quali?) si nasconde dietro un «non posso dire oltre».”
Kerry: Assad ha usato il sarin. La Stampa: “Il segretario di Stato: è come Saddam, il Congresso ci dia carta bianca.”
Renzi: “Sono pronto a guidare il partito Serve una rivoluzione”. L’articolo a firma di Teodoro Chiarelli:
“Se bastassero le presenze sotto il palco della Festa Democratica in corso al Porto Antico di Genova, fra Matteo Renzi, intervenuto ieri, ed Enrico Letta, protagonista venerdì scorso, non ci sarebbe partita: almeno duemila persone per il primo, non più di mille per il secondo. E poi il calore, il feeling con la base del partito. Il sindaco di Firenze ha letteralmente conquistato la platea genovese, trovando consensi insospettati anche da parte di chi nutre ancora dubbi sulla sua statura di leader. Il direttore de La7, Enrico Mentana, lo incalza cercando di metterlo il più possibile a nudo e il risultato è un’intervista scoppiettante, con un Renzi interrotto spesso dagli applausi. Un Renzi che si dice pronto a guidare il Pd («ma decidono gli elettori») e che, anzi, chiede pubblicamente al segretario Guglielmo Epifani di fissare regole e data del congresso, «possibilmente prima della fine della Festa e basta con le correnti nel partito. Un Renzi che non rinuncia a punzecchiare l’ex segretario Pier Luigi Bersani («Se in campagna elettorale avessimo pensato un po’ meno a smacchiare il giaguaro e un po’ più al lavoro, al governo ora c’eravamo noi senza Alfano e Brunetta»). Ma anche un leader che vuol dimostrare di saper guardare avanti, che chiede per questo Paese «una rivoluzione radicale, perché non basta qualche manovra con il cacciavite».”
A Sharm gratis, l’offerta choc batte la paura. L’articolo a firma di Luigi Grassia:
“Come dice John Belushi in Animal House, «quando il gioco si fa duro i duri cominciano a giocare». Mutatis mutandis, quando su Sharm elSheikh piomba l’eco degli scontri al Cairo e arriva lo «sconsiglio» della Farnesina che svuota i villaggi turistici, ecco che il creatore della medesima Sharm – l’italiano Ernesto Preatoni – scende in campo con una proposta choc: offre le vacanze gratis nel suo Domina Coral Bay a chi trova il modo di arrivare sul Mar Rosso in aereo. Risultato? «Siamo assaliti dalla gente che cerca di prenotare e riceviamo i complimenti di decine di migliaia di persone» dice al telefono Preatoni. Per la precisione, è gratis il soggiorno dal momento in cui si arriva fino al 21 settembre. E l’offerta è All Inclusive, tranne il biglietto aereo e il trasferimento da e per l’aeroporto. Qui siamo ben oltre le frontiere della vacanza low cost o della vacanza «intelligente». Purtroppo non è facile approfittare di questa proposta, perché dopo lo «sconsiglio» i tour operator italiani hanno abolito i voli charter da Milano e da Roma. E non è che a Sharm si possa arrivare a nuoto. Sono rimasti i tre collegamenti aerei settimanali di Easyjet, e poi quelli di linea di EgyptAir dall’Italia verso il Cairo – ma poi da lì bisogna trovare un altro aereo per Sharm – o quelli della Turkish Airlines con tappa obbligata a Istanbul. «Da giorni e giorni stiamo cercando di convincere la Egypt a organizzare dei voli diretti Italia-Sharm» incalza Preatoni «ma finora niente. Se non ci fosse il collo di bottiglia dei charter che sono svaniti, il Coral Bay si riempirebbe». A queste condizioni poi è arcisicuro.”
Vodafone esce dal mercato americano. L’articolo a firma di Paolo Mastrolilli:
“Sembra ormai alla fine il matrimonio tra Verizon e Vodafone, e si riapre il risiko delle telecomunicazioni internazionali, perché la compagnia britannica incasserà capitali ingenti con qui potrà lanciarsi in nuove acquisizioni o alleanze. L’anticipazione arriva dal Wall Street Journal, secondo cui le due aziende hanno raggiunto l’accordo per una separazione consensuale. Il quotidiano finanziario di Manhattan riporta che Verizon ha proposto di pagare circa 130 miliardi di dollari, per riprendersi il 45% di Verizon Wireless che era finito nella cassaforte di Vodafone. L’intesa finora è stata sottoscritta dai negoziatori, ma già ieri doveva finire sul tavolo del consiglio di amministrazione della compagnia britannica. E Vodafone ha fatto sapere che i colloqui sono in uno stadio avanzato «ma non c’è ancora la certezza del raggiungimento di un’intesa». Il gruppo inglese sottolinea poi che «un ulteriore annuncio sarà fatto appena possibile». L’operazione se andrà a buon fine sarà la seconda acquisizione più grande nel settore, dopo che nel 1999 sempre Vodafone aveva comprato la tedesca Mannesmann per 172 miliardi. Il matrimonio fra le due aziende non aveva funzionato secondo le aspettative. Verizon riprenderà il controllo completo del più grande operatore di telefonia mobile degli Stati Uniti, e si libera dai molti limiti di operatività che aveva subito nel passato. Per Vodafone, invece, l’accordo significa liberarsi di una quota non più interessante, ricavando risorse da investire in mercati giudicati più strategici, come Europa e Sudamerica.”
Rieccolo. Trovata l’intesa con il Real Madrid, Kakà a un passo dal Milan. L’articolo a firma di Laura Bandinelli:
“La quarta volta sembra davvero quella buona. Dopo un corteggiamento lungo più di due anni Ricardo Kakà è davvero a un passo dal Milan. Da Madrid intorno all’ora di cena l’amministratore delegato rossonero Adriano Galliani ha confermato di aver trovato l’accordo con il Real Madrid, poi ha proseguito la nottata cercando di venire incontro alle esigenze di Bosco Leite, il padre del trequartista, «storicamente» poco incline agli sconti. Si ragiona ufficialmente su un accordo biennale ma dietro l’angolo esiste sempre la possibilità di venderlo ai Los Angeles Galaxy a marzo ed è una buona via di uscita per risolvere la grana dell’ingaggio, perché i rossoneri in questo modo gli pagherebbero solo sei mesi. Kakà, giusto per essere chiari, era partito da una richiesta di sette milioni di euro, il Milan vuole tirarne fuori al massimo 3,5.”