ROMA – Con qualche “non ricordo” e qualche condizionale in più rispetto a quello che aveva messo a suo tempo a verbale, Piero Di Caterina ripete in udienza il suo atto d’accusa contro Filippo Penati e il “Sistema Sesto”. Conferma i “tre milioni e mezzo di euro dati dal ‘94” all’ex sindaco di Sesto San Giovanni, poi presidente della Provincia di Milano e infine braccio destro di Pierluigi Bersani al vertice del Pd, prima di essere travolto dalle accuse di corruzione, concussione e finanziamento illecito.
Scrive Sandro De Riccardis su Repubblica:
Paga Di Caterina e paga Pasini, l’anziano ex proprietario delle aree Falck costretto poi a vendere, dopo essere rimasto stritolato dalle richieste della politica, da bonifiche incompiute e piani regolatori che dovevano soddisfare partiti e coop rosse. «Tu stai facendo la fine del topo» dice Di Caterina a Pasini, ancora indeciso se vuotare il sacco in procura.
I soldi versati, però, per Di Caterina sono solo prestiti. «Una volta ho avuto indietro 500 milioni di lire in contanti, consegnati da Penati in una grossa busta ». L’altra «restituzione» è il milione e 100mila euro (corrispettivo delle lire del 2001) che si fece bonificare, su indicazione del politico, dai conti esteri di Pasini. «Allora Pasini ancora si prestava. Siamo andati in Lussemburgo, nei caveau della sede locale di Banca Intesa, e lì è avvenuto il trasferimento sui miei conti». Altro denaro doveva arrivare dall’acquisto da parte della provincia del 15% di Serravalle in mano a Gavio. «Penati fece trasparire che dall’operazione sarebbero arrivare situazioni positive ».
Nel 2005, il giorno prima che l’operazione fosse pubblica, «Penati mi chiama, ha timore perché minacciavo di andare in procura. Non aveva mantenuto le promesse, io volevo i miei soldi, ormai lo consideravo un “Iscariota”. Ci vedemmo in corso Garibaldi, e mi parlò dell’operazione ». Di Caterina ricorda quello che gli riferì poi Nino Princiotta, l’ex segretario generale della provincia. «Parlò di un incontro dove si raggiunse l’accordo, si discusse del sovrapprezzo e della somma da retrocedere a Penati e Vimercati». A verbale, l’imprenditore aveva dichiarato che la finta compravendita da 5 milioni di un immobile con Binasco (Gavio) era un modo per incassare i due milioni di caparra come restituzione dei soldi prestati a Penati, dopo che la politica aveva garantito la plusvalenza al privato. Ieri la ricostruzione è stata più sfumata. «Incassare le caparre è consuetudine — ha detto Di Caterina — È stato un mio ragionamento quello di pensare che se la vendita fosse andata bene, potevo dimenticare i crediti con Penati». Ma poi l’accordo salta e l’imprenditore scrive a Penati la mail in cui chiede indietro il denaro, uno dei primi riscontri al suo racconto.