
ROMA – “A un certo punto succede questo – scrive Mauro Covacich del Corriere della Sera – sloveni e italiani si parlano ognuno nella propria lingua come se niente fosse. Attori che fino a un minuto prima dicevano le loro battute rivolti verso il pubblico, ora dialogano con naturalezza, e si capiscono”.
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Il passaggio avviene senza soluzione di continuitร , quasi impercettibile, ma, dal momento in cui si compie, รจ difficile pensare ad altro. Molti dei triestini in platea non sono mai entrati nel teatro della Kulturni Dom, sono quelli che, come me, stanno seguendo la scena con un occhio ai sottotitoli.
Lโeffetto รจ ancora piรน straniante perchรฉ non viene giustificato, lascia credere lโincredibile e, al tempo stesso, mostra lโoccasione perduta: quindi avremmo potuto fare cosรฌ? Parlarci? Dialogare?
Trieste, una cittร in guerra รจ uno spettacolo concepito in occasione del centenario, ma di fatto, grazie allโintuizione del giovane regista Igor Pison, i due testi di Marko Sosi ฤ e Carlo Tolazzi sono stati manipolati e fusi in una piรจce sul linguaggio. A Trieste la Grande Guerra รจ stata solo lโesordio di un conflitto che le due comunitร autoctone hanno condotto e, potremmo dire, interpretato per tutto il Novecento. Lโitalianizzazione coatta degli sloveni, le foibe titine, la divisione in zona A e zona B, le manifestazioni contro il bilinguismo, e sempre lโombra della cortina di ferro alle spalle del Carso e la possibilitร che la paranoia si trasformi in odio personale โ possibilitร la cui soluzione ottimale รจ stata una surreale convivenza tra estranei.
Poi perรฒ รจ caduto il Muro di Berlino โ il vero anniversario che questo spettacolo sembra celebrare โ ed รจ venuto meno anche il senso di usare le lingue come armi.
Pison รจ un triestino di trentadue anni, lui sรฌ perfettamente bilingue, ma soprattutto รจ un triestino venuto dopo. Non ha particolari rancori e nessuno spirito di vendetta. Inoltre, grazie a una solida formazione tedesca, fa sentire il suo respiro internazionale (nellโadattamento dei testi compare anche la figura poco nostrana del ยซdramaturgยป Eva Kraลกevec). Trasforma, ad esempio, i suoi limiti conoscitivi in risorse morali: come posso raccontare una guerra se non ne ho mai avuto esperienza? Pison mette in scena lโonestร intellettuale di un giovane regista, suo alter ego, che si tormenta per la propria inadeguatezza rispetto allโincarico affidatogli, circondato da attori che pure gli sono devoti, tutti pronti con la parte in mano, giร in costume di scena. Evita la commemorazione retorica, a beneficio di unโanomala, imprevedibile seduta di autocoscienza. La guerra oggi รจ unโesperienza trasmessa da un video.
Uno schermo passante divide il palco in due profonditร . Le immagini proiettate non ci impediscono di intravvedere dietro la tenda-schermo le scene provate davanti alla telecamera da cui quei filmati provengono. Gli attori passano in continuazione dal proscenio al retro, dal presente al passato, da ciรฒ che sono, uomini e donne esitanti davanti a un ruolo troppo grande, a ciรฒ che fingono di essere, reduci, disertori, vedove, giovani madri abbandonate. Se vuoi sapere chi sei, indossa i panni di un altro: il percorso introspettivo che va da Pirandello a Charlie Kaufmann.
Coprodotto dal Teatro Stabile Sloveno e dal Rossetti (dove lo spettacolo di sposterร a dicembre), il progetto nasce dalla Casa del Lavoratore Teatrale e rappresenta un piccolo passo coraggioso verso una Trieste non piรน autocelebrativa. Sono rose, e fioriranno.
