ROMA – L’Unità chiude il giorno 1 agosto. Chiude per colpa di un debito enorme e perché la proprietà ha giudicato irricevibili le offerte di salvataggio arrivate fino ad oggi. La notizia, ovviamente, finisce su tutti i giornali, con diverse interpretazioni. Sul Fatto Quotidiano Salvatore Cannavò punta sulle responsabilità del Pd e parla di giornale ucciso da “fuoco amico”.
Il Giornale, invece, se la prende con Romano Prodi e una sua legge del 1998 che, è la tesi di Mariateresa Conti, finisce per scaricare sulla collettività il maxi debito dell’Unità.
L’articolo di Salvatore Cannavò per il Fatto Quotidiano:
L’Unità oggi uscirà con sole tre pagine scritte mentre tutte le altre saranno bianche. È questa la risposta che il giornale darà alla decisione, presa ieri dai liquidatori, di sospendere le pubblicazioni a partire dal 1° agosto. “Vogliamo far vedere concretamente come sarebbe l’informazione senza un giornale come l’Unità” dice il direttore Luca Landò mentre prepara la prima pagina del quotidiano dal titolo inequivoco: “Hanno ucciso l’Unità”. L’accusa è, di fatto, rivolta al Pd che, nella gestione renziana non ha amato il giornale, che ha osteggiato il suo attuale azionariato e che non si tira indietro dalla polemica con un tweet serale dello stesso Renzi: “L’Unità purtroppo non è del Pd. Se lo fosse non chiuderebbe”. Una dichiarazione che è un atto di accusa alla gestione passata e una presa di distanza dall’attuale fallimento senza prefigurare un impegno. Anche se in serata, via twitter, l’amministratore Francesco Bonifazi garantisce che “riapriremo l’Unità”.
LA DECISIONE dei liquidatori, Emanuele D’Innella e Franco Carlo Papa, infatti, è stata presa al termine di una riunione animata e drammatica con gli azionisti di Nuova Iniziativa editoriale, la società editrice del quotidiano. Riunione in cui sono volati insulti e parole grosse e che, forte dello Statuto che richiede il 91% per le scelte decisive, ha bocciato la proposta avanzata per risolvere la crisi. Sul tavolo dei liquidatori, infatti, nei giorni scorsi sono state depositate tre offerte giudicate credibili: quella dell’attuale azionista di maggioranza, Matteo Fago, quella del costruttore milanese Pessina e quella di Daniela Santanché che all’inizio sembrava una provocazione e che invece venerdì sera è stata perfezionata. Altre due offerte sono state giudicate “folkloristiche”. La proposta di Matteo Fa-go ha avuto il via libera dai lavoratori perché, trattandosi diaffitto del ramo d’azienda a una nuova società, Editoriale 90, prevede garanzie per la redazione non assicurate dall’offerta di Pessina o da quella di Daniela Santanché. In ogni caso, l’assemblea dei soci non ha raggiunto il 91% necessario grazie all’opposizione, dice chi vi ha assistito, di tre soci: la Fondazione Gunther amministrata da Maurizio Mian, la Partecipazioni integrate di Maria Claudia Ioannucci, la ex senatrice di Forza Italia il cui ingresso nell’azionariato de l’Unità aveva fatto infuriare i redattori. Ma anche la Eventi Italia Srl, la società che organizza le feste dell’Unità e che detiene una quota piccolissima della Nie. Un no, quest’ultimo, che chiama in causa lo stesso Pd, formalmente estraneo alla compagine azionaria del giornale.Prima di Renzi, il Pd era intervenuto con il vicesegretario Guerini e il tesoriere Francesco Bonifazi che, oltre ad assicurare un impegno “al 100%” per risolvere la vicenda, criticava indirettamente la proposta di Fago. “Di fronte a proposte che non garantivano una prospettiva certa per il futuro editoriale e occupazionale dell’Unità – scrive Bonifazi – è arrivato il momento della chiarezza”. Lo scontro sull’azionariato possibile, dunque, è evidente.
MOLTO DURA, quindi, la presa di posizione del Comitato di redazione che parla di “fuoco amico”. “Dopo tre mesi di lotta, ci sono riusciti: hanno ucciso l’Unità”. I lavoratori del quotidiano sostengono di “essere rimasti soli” a difendere la testata e definiscono di “gravità inaudita” il fatto che gli azionisti non abbiano “trovato l’intesa su diverse ipotesi che avrebbero comunque salvato il giornale”. L’assemblea dei soci, infatti, ha anche respinto la proposta dei liquidatori di prendere altri due mesi di tempo per valutare meglio le offerte sul tavolo.
Per i lavoratori si profila, quindi, la cassa integrazione. Si tratta di circa 80 persone che non prendono lo stipendio da tre mesi e che fanno sapere di non avere voglia di arrendersi. “Questa storia non finisce qui” scrive infatti il Cdr che chiama in causa il partito di riferimento: “Avevamo chiesto senso di responsabilità e trasparenza a tutti i soggetti, imprenditoriali e politici. Abbiamo ricevuto irresponsabilità e opacità. Noi continueremo a combattere”. E di lotta parla anche il direttore, Landò, che definisce la prima pagina di oggi, quella con le pagine bianche, dedicata “al giorno del lutto” mentre domani con l’ultima edizione, ci sarà un giornale “di lotta”.
Al di là delle posizioni della segreteria – con cui Renzi si è tenuto in contatto – dal Pd non sono mancati i messaggi di solidarietà e sostegno da parte della minoranza con i comunicati di Pier Luigi Bersani e Gianni Cuperlo. Molto eclatante la presa di posizione della Cgil che ha fatto parlare tutti i suoi ultimi quattro segretari, Camusso, Epifani, Cofferati e Pizzinato. Tutti gli occhi, però, sono puntati su Matteo Renzi, su “mister 41%” che, come dicono al giornale, in sette mesi di crisi non ha saputo trovare, finora, una soluzione valida.L’articolo di Mariateresa Conti per Il Giornale:
La stangata, sempre che l’Avvocatura dello Stato confermi, arriverà a ottobre. E, anche se si tratta di debiti di un giornale di partito, l’Unità , e del «fu» partito medesimo – i Ds poi diventati Pd – a pagarla saranno i cittadini tutti, visto che a sborsare ci penserà lo Stato, dunque i contribuenti.
Si dà il caso infatti che, per grazia ricevuta nel 1998 dal governo Prodi, lo Stato abbia esteso anche a soggetti diversi dalle editrici la garanzia relativa ai mutui per l’editoria contratti da quotidiani di partito.
E si dà il caso anche che i debiti contratti sino al 2001 dall’ Unità , il quotidiano fondato da Antonio Gramsci che sta attraversando una crisi nerissima, siano confluiti nel calderone del «buco» del vecchio Pci-Pds ereditato dalla Fondazione Ds. Morale: lo Stato, in quanto garante, ora dovrà pagare le banche creditrici al posto dell’ Unità e della Fondazione Ds. E non si tratta di bruscolini: il debito infatti, per il quale il Tribunale di Roma ha emesso altrettanti decreti ingiuntivi richiesti dagli istituti di credito, ammonta a 110 milioni di euro. Una cifra che il governo Renzi dovrà sborsare a meno che l’Avvocatura, cui è stato presentato ricorso, non blocchi tutto.
Il contenzioso non è nuovo. Già nel 2011, Il Giornale e Il Messaggero avevano parlato del debito monstre dell’ Unità e della maxi-causa intentata da sei banche – capofila Intesa SanPaolo, Bnl e Banca Popolare – per cercare di riavere il denaro prestato al quotidiano degli allora Ds. Alle origini del paradosso che scarica oggi sui cittadini i debiti di ieri di un quotidiano di partito, un concorso di fattori. Alla base c’è la già citata legge varata dal governo Prodi, la numero 224 dell’11 luglio del 1998, che trasferisce la garanzia posta dallo Stato su debiti dei quotidiani di partito «anche a soggetti diversi dalle editrici concessionarie».
La norma, al comma 2 dell’articolo 4, precisa: «La garanzia concessa a carico dello Stato applicata per capitale, interessi anche di mora ed indennizzi contrattuali, è escutibile a seguito di accertata e ripetuta inadempienza da parte del concessionario». Con questo si intrecciano le vicissitudini che dal Pci hanno portato al Pd di oggi e alla gestione, tramite la Fondazione Ds, del patrimonio del partito. È il 2001 quando la Fondazione guidata dall’ex tesoriere Ugo Sposetti, adesso senatore, si trova sulle spalle un maxi-debito dovuto in parte al giornale. Ed è il 2002 quando gli esperti dell’ex Pci stabiliscono che, almeno del debito per l’editoria, non c’è da preoccuparsi visto che garante dei mutui è lo Stato. Si arriva così alla causa delle banche e ai decreti ingiuntivi che gli istituti di credito hanno ottenuto e che il governo guidato – ironia della sorte – dal leader del Pd, rischia di pagare. Il tutto proprio mentre si decide il destino dell’ Unità . Il giornale è alle soglie del fallimento, rischia a stretto giro di chiudere i battenti. Rifiutata la proposta di salvataggio dell’onorevole Daniela Santanchè, la trattativa procede con Editoriale Novanta di Matteo Fago. E i prossimi giorni saranno cruciali.