
ROMA – “Al peggio non c’è ancora fine” è l’editoriale di Vittorio Feltri sul Giornale: “Di fronte agli accadimenti degli ultimi giorni, anche il cronista politico più scafato, e avvezzo a narrare le peggiori storie del Palazzo, è in difficoltà perfino a scegliere le parole meno amare”.
L’editoriale:
Il Paese è in ginocchio da parecchio tempo e il governo, che avrebbe dovuto gestire l’uscita dall’emergenza, si è rivelato incapace di intendere e di volere. Agisce a capocchia. Pasticcia sulle tasse, tant’è che gli italiani non sanno ancora quanto e quando devono pagare. Assume iniziative grottesche a riguardo degli insegnanti, cui chiede rimborsi assurdi, salvo pentirsene subito dopo, coprendosi di ridicolo. In sintesi: inanella una figuraccia appresso all’altra. Il ministro Fabrizio Saccomanni, cooptato nell’esecutivo quale tecnico ed esperto di conti nonché di bilanci, in realtà sembra un dilettante allo sbaraglio, e i suoi colleghi, invece di parargli le terga, lo prendono a calci nel sedere come se fosse un fastidioso intruso. Il premier, cui erano state attribuite doti speciali di manovratore accorto, dà l’impressione di essere nel marasma totale e di non sapere a quale santo votarsi. Un minimo di dignità, anche personale, che sicuramente non gli manca, dovrebbe indurlo a dimettersi non solo da Palazzo Chigi, ma pure dal Parlamento. Si è invocato tanto l’avvento dei quarantenni in sostituzione dei vecchi barbogi e ora, davanti alle loro opere, modeste per non dire scandalose, financo i progressisti più spinti rimpiangono i bei tempi andati (che non ci sono mai stati) e sperano in un ritorno al passato remoto. Alcune settimane orsono gran parte della sinistra brindò alla vittoria di Matteo Renzi: finalmente qualcosa si muove in avanti, il Pd risorgerà e conquisterà consensi su tutto il fronte, di qua e di là. Che emozione, dicevano ebbri di gioia i compagni, arriva il cambiamento.
In effetti il cambiamento è arrivato: si viaggia veloci verso il fondo del burrone. Riassumo. Il nuovo segretario democratico si rifiuta di incontrare Enrico Letta. Motivo: «Prima devo consultare la mia segreteria». Giusto. Intanto, però, egli presenta una sorta di programma alternativo a quello del presidente del Consiglio, cosicché viene da pensare che si prepari a sostituirlo al vertice del governo. L’ipotesi, per quanto improbabile, vola di bocca in bocca e prende corpo. Un autorevole esponente del Pd giura che Saccomanni è sul punto di togliere il disturbo, non essendo all’altezza del ruolo ricoperto. Non l’avesse mai detto. Cinque minuti più tardi, il portavoce della segreteria smentisce: Saccomanni è in sella. Fin quando? Non si sa.