
ROMA – Vittorio Feltri si lancia un un sermone domenicale, proprio tipo predica pastorale, indirizzata, dalla prima pagina del Giornale, “ai signori del Pdl” al fine di dire che
“questo è il momento meno opportuno per litigare, offrendo agli avversari del Pd il destro per mascherare le loro beghe e spacciarle per apprezzabili manifestazioni di democrazia interna. Ma se proprio non possono fare a meno di scontrarsi, stavo per scrivere scannarsi, cerchino almeno di essere utili alla causa di Silvio Berlusconi, se non a quella del partito. Mi scuso con i lettori se anch’io ricorro alle metafore ornitologiche, stucchevoli e abusate: i falchi, le colombe, i polli e i tacchini finora non hanno ottenuto granché.
Nessuno di essi è riuscito a imporsi, e agli elettori è sfuggito il senso delle loro baruffe. Solo gli addetti ai lavori hanno capito, grosso modo, che le colombe sono più attaccate al governo, e relativi scranni, che non al Cavaliere; mentre ai falchi preme (a parole) la sopravvivenza del Cavaliere stesso e se ne infischiano di quella di Enrico Letta. La divisione fra le due categorie di uccelli è profonda e rischia di degenerare in scissione. Scissione che a un certo punto sembrava inevitabile.
Poi il pericolo è rientrato, ma non del tutto. Cosicché si paventa ancora la possibilità di un improvviso strappo, che sfocerebbe nella nascita di due partiti: uno strettamente berlusconiano e l’altro diversamente berlusconiano, capeggiato da Angelino Alfano o da un suo epigono. Ciò che, sotto il profilo politico, creerebbe gran confusione e disorientamento nell’elettorato di centrodestra, incapace di comprendere chi abbia ragione e chi torto. Di qui il mio consiglio non richiesto ai volatili in questione: se sono talmente stolti da non riuscire ad andare d’accordo, trascurando il comune interesse, si separino subito prima che sia troppo tardi – a vantaggio del vecchio leader, colui che li ha tolti dalla gabbia dell’anonimato spingendoli in Parlamento.