
Coronavirus, cosa sono i tamponi: come funzionano e quanto costano (foto ANSA)

ROMA – Sono al centro delle cronache, si discute su quando farli, a chi farli, se ne sono stati fatti troppi o troppo pochi, se sono affidabili. I tamponi sono tra i protagonisti del dibattito nell’era del coronavirus.
Ma di cosa si tratta? Probabilmente ben prima dell’emergenza attuale tutti o quasi si sono imbattuti in un tampone faringeo, che non è altro che un bastoncino cotonato che viene passato nella gola per analizzare la mucosa della faringe. Viene eseguito di norma per individuare la presenza di potenziali agenti patogeni come batteri – ad esempio lo streptococco Beta-emolitico di tipo A – e virus. E’ proprio la faringe, il canale del cavo orale che mette in comunicazione cavità nasale, esofago e laringe, la parte migliore per scovare i potenziali virus o batteri.
Stesso meccanismo per il coronavirus: il tampone, una volta eseguito, viene avvolto in uno speciale gel per la conservazione e inviato ai laboratori per l’analisi. Ormai sono numerosi i centri sul territorio che svolgono questo test, a causa della crescita dei casi. Lì viene fatto il primo esame di laboratorio, che dura mediamente dalle 4 alle 6 ore.
Le tracce di virus (o meglio di codice genetico del virus) individuate possono essere chiare o incerte: in ogni caso il test viene in genere inviato per una seconda analisi ai centri di riferimento, il Sacco di Milano e lo Spallanzani di Roma. Infine, per la definitiva validazione, il campione arriva all’Istituto Superiore di Sanità.
Il tutto, almeno in Italia, gratuitamente: è di qualche giorno fa la notizia del cittadino americano che si è sottoposto a un tampone, poi risultato negativo, ed è stato costretto a pagare migliaia di euro. Da noi invece paga il servizio pubblico: non tanto per il tampone in sè, che costa pochissimo, un euro circa, ma per le analisi sul campione, che costano circa 40-50 euro.
Stando ai dati ufficiali della Protezione Civile, l’Italia nelle ultime settimane ha eseguito quasi 30mila tamponi, ma l’indicazione giunta la scorsa settimana dal ministero è di riservarli ai soli casi sintomatici, ossia quando ci sia almeno uno dei sintomi tipici della malattia (febbre, tosse o difficoltà respiratorie). (fonte AGI)