Coronavirus, perché in Lombardia si muore di più? Ilaria Capua: "Forse gli impianti di aerazione degli ospedali. O lo smog"
ROMA – Perché in Lombardia si muore per coronavirus più che altrove? Per la virologa Ilaria Capua la motivazione potrebbe essere un problema agli impianti di aerazione degli ospedali o forse anche allo smog. Lo ha detto intervenendo in collegamento dalla Florida, dove vive, a DiMartedì, il programma di Giovanni Floris su La7.
“Un virus è un personaggio piccolo che fa un gioco di squadra con i suoi amici gemelli: il loro obiettivo è perpetuare il loro genoma – ha spiegato la virologa martedì 17 marzo su La7 -. I virus se sono molto aggressivi sono anche poco trasmissibile. Il nostro corpo sviluppa barriere contro il virus nel momento in cui lo incontro. È importante sapere il numero degli infetti, perché se l’ospite non ha difese il virus incontra solo semafori verdi e continua ad infettare. Nel momento in cui si producono anticorpi, il virus si ferma”.
Quindi, rispondendo alla domanda di Floris sul picco di contagi e vittime in Lombardia, ha ipotizzato una risposta: “Perché si muore più Lombardia che nel resto d’Europa? È possibile che gli ospedali che gestiscono questi focolai abbiano degli impianti di aerazione che non garantiscono la sicurezza di persone immunodepresse?”.
Ma questa non è l’unica ipotesi fatta da Capua. “Sappiamo che in Lombardia ci si lamenta per l’inquinamento. Io sinceramente non credo che sia l’inquinamento, però dobbiamo capirlo che cosa ci sia in Lombardia”.
E proprio sul legame tra inquinamento e contagi si sono concentrati gli esperti dell’Epha, l’Alleanza europea per la salute pubblica, che hanno notato come là dove i livelli di inquinamento atmosferico sono più alti anche il tasso di mortalità del nuovo coronavirus è maggiore. Secondo l’Epha, lo smog nelle aree urbane provoca ipertensione, diabete e malattie respiratorie e questo potrebbe portare a un maggior numero di decessi.
Uno studio curato da ricercatori e medici della Società italiana di Medicina Ambientale (Sima) ha mostrato a sua volta la correlazione tra livelli di Pm10 e diffusione del coronavirus.
Come spiega il Sole 24 Ore, Leonardo Setti dell’Università di Bologna e Gianluigi de Gennaro dell’Università di Bari hanno osservato i dati relativi al periodo tra il 10 e il 29 febbraio provenienti dalle centraline di rilevamento delle Arpa (le agenzie regionali per la protezione ambientale) e quelli sul contagio da Covid19 riportati dalla Protezione Civile, aggiornati al 3 marzo, lasso temporale necessario visti i 14 giorni di incubazione media del virus. La conclusione evidenzia una relazione tra i superamenti dei limiti di legge delle concentrazioni di Pm10 e PM2,5 e il numero di casi infetti da Covid-19.
“Alte concentrazioni di polveri fini a febbraio in Pianura Padana hanno esercitato un’accelerazione anomala alla diffusione virulenta dell’epidemia”, rileva lo studio. Secondo i ricercatori le polveri sottili “stanno veicolando il virus”. (Fonti: DiMartedì, Il Sole 24 Ore)