ROMA – Un protocollo consegnato mal volentieri da Davide Vannoni. Risultati vantati, ma scientificamente non dimostrati. Foto presentate nel 2013, ma copiate da lavori del 2003. Richiesta di brevetto avanzata negli Stati Uniti e respinta, per un metodo giudicato “mancante di innovazione“.
Queste sono le falle più evidenti del metodo Stamina, falle che portano allo scetticismo degli scienziati ma che non bastano a convincere l’opinione pubblica che forse, dietro al metodo, qualcosa di poco chiaro c’è.
Luigi Ripamonti sul Corriere della Sera ricostruisce tutte le falle del Metodo Stamina, bocciato dal ministero della Salute perché giudicato “pericoloso” ma salvato dal Tar “medico pietoso”, che ne ha sospeso la bocciatura ed ha richiesto una nuova commissione di esperti che valuti il protocollo:
“Tutto ha avuto la sua alba nel 2007, quando Davide Vannoni, oggi presidente di Stamina Foundation, conosce un gruppo di ricercatori ucraini e russi che studiano un metodo per differenziare le cellule staminali mesenchimali del midollo osseo in cellule nervose. Vannoni invita in Italia a lavorare l’ucraina Elena Schegelskaya e il russo Vyacheslaw Klymenko, disponendo le attrezzature necessarie allo scopo nella sede di una sua società a Torino, la Cognition.
La Procura di Torino, però, apre un’indagine, perché nella sede della Cognition sarebbero stati effettuati trattamenti su diverse persone con cellule staminali. Vengono formulate varie ipotesi di reato tra cui associazione per delinquere finalizzata alla truffa e somministrazione di medicinali guasti”.
Stamina però continua a sperimentare e arriva agli Spedali civili di Brescia, dove riceve un’ispezione Aifa nel 2012:
“Lo studio dei campioni sequestrati non riscontra la presenza di cellule nervose in seguito a trattamento delle cellule di partenza. Non solo, viene anche sottolineato che la concentrazione di staminali utilizzate è molto inferiore a quella usata comunemente in esperimenti di questo tipo. L’Aifa emette un’ordinanza con cui vieta prelievi, trasporti, colture e somministrazioni di cellule umane presso gli Spedali civili di Brescia in collaborazione con Stamina”.
Allora Vannoni invita tutti a cancellare scetticismi e presunti pregiudizi guardando il protocollo, consultabile su Internet e in attesa di brevetto:
“A tali richieste Stamina ha replicato che il metodo era consultabile su Internet, leggendo la richiesta di brevetto del metodo presentata alle autorità americane nel 2010. Qui però sono sorti nuovi problemi. Il primo è che una domanda di brevetto non contiene le stesse informazioni necessarie per una pubblicazione scientifica. Il secondo è che la domanda di brevetto risultava respinta, con diverse motivazioni, fra cui la mancanza di innovazione sostanziale rispetto a metodiche già esistenti”.
Poi ci sono le denunce di Nature:
“Il terzo problema nasce dal fatto che nel 2013 la rivista Nature ha denunciato che nella richiesta di brevetto erano presenti due fotografie, decisive per la dimostrazione del metodo, che, in realtà , erano già state pubblicate in una ricerca del 2003 dal gruppo della Schegelskaya. Stamina ha sottolineato di aver sempre lavorato in collaborazione ai gruppi russi e ucraini, però il fatto che le fotografie fossero anteriori al 2007 indicherebbe che le condizioni sperimentali erano comunque diverse e quindi non ammissibili per una domanda di brevetto.”.
Altra falla son le cartelle cliniche dei pazienti, che avrebbero avuto presunti miglioramenti. Risultati non accertabili scientificamente:
“La domanda dei sostenitori di Stamina è sempre stata, in sintesi: perché gli scienziati non vogliono prendere atto di questi miglioramenti? La risposta, sempre in sintesi: perché questi miglioramenti possono non essere veri, non essere significativi, essere casuali, aneddotici e comunque non misurabili e confrontabili.
Replica ulteriore, sempre in sintesi: perché i componenti della commissione che ha bocciato il metodo Stamina non hanno consultato le cartelle cliniche prima di dare il loro giudizio? Risposta sintetica: perché la commissione doveva valutare il protocollo, che è stato giudicato inadeguato, non le cartelle cliniche, che, isolate e al di fuori di una sperimentazione controllata, non possono avere valore probante”.