ROMA – “Non ci sono cellule staminali nel metodo Stamina“, scrivono nel rapporto gli scienziati che hanno avuto modo di vedere il protocollo. E all‘assenza di staminali va aggiunta l’assenza di controlli sulla salute dei donatori, con l’alto rischio per chi viene sottoposto a Stamina di contrarre il virus Hiv e  il morbo della “mucca pazza“.
Questo è quanto emerge dai verbali dei Nas, che nell’ottobre 2012 hanno chiuso i laboratori degli Spedali civili di Brescia dove le presunte cellule staminali venivano coltivate in assenza di sicurezza secondo l’Aifa. Questo non il parere, dunque opinabile, ma il risultato delle analisi eseguite su protocollo Stamina e sui campioni che hanno portato la commissione di esperti, giudicata “non imparziale” da quel Tar “medico pietoso”, che ha disposto un nuovo Comitato per la valutazione del metodo.
Paolo Russo su La Stampa scrive:
“Un metodo che non dovrebbe nemmeno chiamarsi «Stamina» perché di cellule staminali nelle misteriose infusioni ce ne sarebbero sì e no tracce. Nessun accenno a come le cellule mesenchimali del midollo si trasformerebbero in cellule cerebrali e dei tessuti nervosi, in grado di riparare i danni all’origine di molte malattie neuro degenerative, come Sla o Sma1. E persino lo spettro di contaminazioni da morbo di «mucca pazza»”.
Proprio l’assenza di controlli e il rischio di contaminazioni, anche da Hiv, preoccupavano l’Aifa:
“Luca Pani, presidente dell’Aifa, afferma che l’analisi condotta «farebbe supporre l’uso di siero fetale bovino nei terreni di coltura». Dubbio fugato dagli esperti del comitato, che nel parere svelano come sia la stessa documentazione presentata da Stamina a confermare l’uso di siero bovino per la coltura delle cellule. Cosa che in sé non sarebbe vietata anche se sconsigliata. Purché – ricorda il comitato – «per ridurre i rischi di natura infettiva… il siero fetale bovino provenga da animali allevati e sacrificati in Paesi privi di Bse», il tutto mediante certificazione europea. «Nessuna di queste informazioni è presente nei documenti pervenuti», si legge però nel parere”.
Poi ci sono gli antibiotici nel terreno di coltura delle cellule, una pratica che espone al rischio di tossicità e che per il comitato scientifico del ministero della Salute non era giustificata:
“E poi la presenza di detriti dei tessuti potrebbe provocare micro embolie polmonari e cerebrali. Del resto un altro verbale rivela che in un campione prelevato a Brescia il 30% delle cellule sarebbe stato contaminato. In un altro campione la contaminazione sarebbe invece «bassissima», ma in entrambi si rileva l’assenza di un marcatore che generalmente rileva la presenza di cellule staminali mesenchimali”.
Ma se di staminali non si tratta, cosa c’è nel metodo Stamina, metodo per cui Davide Vannoni chiese il brevetto negli Usa e la sua richiesta fu respinta:
“Nel consenso informato fatto firmare ai pazienti, rivela un altro verbale, «sorprendentemente si dichiara che le cellule somministrate possono essere leucociti del sangue, di solito mescolati ad altre componenti minori… oppure cellule più purificate quali le cellule mesenchimali estratte dal midollo osseo». Insomma, un frullato indefinibile. E infatti per gli scienziati del comitato che hanno potuto leggere per esteso le carte di Vannoni dal metodo Stamina di coltura «la popolazione (cellulare) che si ottiene non è purificata, non è omogenea, non è una popolazione di cellule staminali». Qualunque cosa sia però per il comitato non c’è nulla che dimostri la trasformazione di cellule del midollo in cellule neuronali in grado di riparare i danni delle malattie neuro degenerative”.
Nella domanda di brevetto del metodo Stamina c’è scritto che dopo solo un’ora in coltura di acido retinoico le cellule sono soggette alla trasformazione, ma il risultato non è replicabile:
“All’Iss, rivela un verbale, ci hanno provato per 2 ore e poi per 24. Ma del miracolo della trasformazione cellulare nessuna traccia”.
“Nessun quantità di esperimenti potrà dimostrare che ho ragione, un unico esperimento potrà dimostrare che ho sbagliato”, scriveva Albert Einstein a Max Bohr in una lettera del 1926. Mentre proprio su presunti e non certificati miglioramenti si fonda il parere di chi chiede allo Stato di autorizzare la sperimentazione, in primis Vannoni che dichiara i benefici del suo metodo ma non intende fugarne i dubbi.
Riassumendo in breve le carte “top secret” di Nas e comitato svelate da Russo, il metodo Stamina manca di staminali e di sicurezza. Ma soprattutto non è replicabile, caratteristica fondamentale perché un metodo scientifico possa essere ritenuto fondato e una sperimentazione possa essere avviata.