
ROMA – Tassare la sigaretta elettronica perché potrebbe far male? Un “grande imbroglio” dello Stato, secondo Gabriele Villa de Il Giornale, che è mosso solamente dal ricco introito che arriverebbe dalla consistente tassa del 58,5%. Villa spiega che le sigarette elettroniche sono meno dannose delle normali “bionde”, stando ai dati dell’Istituto Bruno Leoni, dell’oncologo Umberto Tirelli e naturalmente dei produttori di e-cig.
Per Villa dunque lo Stato non tassa le sigarette elettroniche con intento “moralista e salutista”, ma per “batter cassa”:
Forse è il caso di ricordare che questo Stato moralista e salutista che vorrebbe farci credere che ricorre da sempre alla più spietata tassazione per reprimere i nostri vizi, in realtà ogni anno dal settore del tabacco ricava circa 13,7 miliardi di euro, pari al 7,2% del gettito da imposte indirette (peraltro in questi dieci 10 anni le entrate sono aumentate del 113%)”.
Il Giornale spiega poi come il prezzo finale delle sigarette si divide tra accise e tasche dei produttori rivenditori:
“Per le sole accise la quota che i tabacchi pagano allo Stato sale al 26 per cento. Quindi per un prezzo ipotetico pari a 100, avremo così che: 58,5 viene versato nelle casse dell’erario a titolo di accisa, il 17 sempre allo Stato per l’Iva, 10 è il guadagno del rivenditore, il 14,5 saranno l’incasso per il produttore”.
Villa parla poi di “ipocrito salutismo” da parte dello Stato e di come lo studio condotto dall’Istituto Bruno Leoni mostri che il fumo elettronico non aggrava le casse dello Stato, ma può addirittura portare un risparmio:
” In compenso, ci conferma uno studio dell’Istituto Bruno Leoni, il fumo elettronico può costare fino ad un terzo del fumo convenzionale, soprattutto per la mancanza di accise. I 350 milioni di fatturato del fumo elettronico spiazzano quindi fino a un miliardo di euro di fumo convenzionale, con effetti sulle accise di circa 500 milioni. La riduzione complessiva delle entrate da accise è stimata attorno agli 800-1000 milioni a seconda della fonte, e quindi verosimilmente il fumo elettronico contribuisce tra il 30 e il 50 per cento a questa diminuzione. Ecco perché diventa appetibile questo mancato introito per lo Stato”.
Le conclusioni dello studio dell’Istituto Bruno Leoni per Villa parlano chiaro: non è dimostrato, almeno fino ad oggi, che le sigarette elettroniche e gli additivi che contengono possano essere nocivi e la vendita solo in farmacie e tabacchi non è giustificata:
“Eppure ciò è rischioso, perché è già evidente che allo Stato non interessa la salute dei cittadini, quanto piuttosto le entrate fiscali”.
Umberto Tirelli, direttore del dipartimento di oncologia medica dell’Istituto tumori di Aviano, ha poi spiegato:
“Voler tassare le sigarette elettroniche e fare così in modo che meno persone le utilizzino è completamente sbagliato, in quanto con esse si diminuisce l’introduzione delle sostanze cancerogene dovute alla combustione delle sigarette tradizionali e che sono alla base delle malattie ben note. Coloro che sono forti fumatori e fumano per esempio 30 sigarette al giorno se ne fumano 5 al giorno perché utilizzano la sigaretta elettronica hanno un grande vantaggio per la loro salute”.
