Vaccino Covid, la ricercatrice italiana Agnese Lanzetti: "Io volontaria per test col virus"
“Mi offrirei come volontaria”. Non ha dubbi Agnese Lanzetti, ricercatrice, 31 anni, con una laurea all’Università di Pisa, un dottorato negli Stati Uniti e in attesa di proseguire un suo progetto di ricerca a Londra.
Affronterebbe come volontaria il test del vaccino anti Covid-19 basato sulla somministrazione del virus dopo l’iniezione del vaccino.
La sua firma è tra le oltre cento a sostegno della lettera aperta inviata al direttore dei National Institute of Health (Nih), Francis Collins, per iniziativa dall’organizzazione 1 Day Sooner.
L’obiettivo è arrivare al vaccino prima possibile e la strategia dello Human Challege Trial lo consentirebbe.
“Ho visto l’appello in rete alcuni mesi fa e ho deciso di firmare per portare l’argomento all’attenzione della società”, spiega Agnese Lanzetti all’agenzia Ansa.
“Nel mio lavoro seguo temi diversi dall’immunologia, ma grazie alla mia preparazione scientifica riesco a comprendere rischi e benefici dello Human Challenge Trial”.
“Mi offrirei come volontaria e ho firmato sapendo che teoricamente potrei essere considerata un buon candidato”, afferma. (Fonte: Ansa).
Somministrare il vaccino a un gruppo di volontari sani e, una volta formati gli anticorpi, inoculare il virus negli stessi individui: è questa l’unica strada per arrivare rapidamente ad avere le risposte sul vaccino e poter arginare la pandemia di Covid-19.
Non ha dubbi in proposito Giuseppe Remuzzi, direttore dell’istituto Mario Negri di Bergamo, per il quale “l’unico modo per arrivare prima è lo Human Challenge Trial.
Negli Stati Uniti l’appello firmato da un centinaio di ricercatori, fra i quali 15 Nobel.
Mentre sono già cinque i candidati vaccini giunti alla fase 3 della sperimentazione, è chiaro a tutti che prima di avere il vaccino ci vorranno ancora mesi, mentre i casi nel mondo aumentano così come i decessi, sullo sfondo di una grave crisi economica.
Diventa perciò sempre più pressante cercare una via rapida per avere il vaccino. “Normalmente i vaccini richiedono studi molto grandi, con il coinvolgimento di migliaia di persone, e sarebbe indubbiamente più veloce esporre persone sane vaccinate al virus”, ha osservato Remuzzi riferendosi alla strada indicata nella lettera promossa dall’organizzazione 1 Day Sooner.
La procedura dello Human Challenge Trial “può accelerare moltissimo l’approvazione del vaccino in quanto la sperimentazione nella fase 3 richiede moltissimo tempo. Se i volontari vengono esposti al patogeno si ottengono i risultati più rapidamente”, ha osservato Remuzzi.
“E’ un’iniziativa importante” e che ha “precedenti storici”, ha aggiunto citando i casi di test fatti in passato per vaccini contro influenza, tifo e colera. Certamente sono numerosi e rigidi i paletti etici da rispettare in un approccio simile.
Per esempio, è possibile “solo se i risultati preliminari dimostrano che il candidato vaccino è in grado di provocare una risposta immunitaria nell’uomo: in questo modo si riduce il rischio perché i volontari vengono esposti al virus solo se c’è risposta immune”.
E’ anche vero però, ha osservato l’esperto, che “non sappiamo al momento quanto dura l’effetto degli anticorpi”; d’altro canto “accettiamo dei rischi anche più alti, per esempio, che nei pronto soccorso ci siamo anche medici non vaccinati”.
A favore della rapidità pesa anche il fatto che è “l’unico modo per superare la stagnazione economica e medica, con tutta l’insicurezza e le tensioni sociali che da questa derivano. L’economia che va male si traduce in problemi di salute”.
Remuzzi è anche convinto che un approccio come lo Human Challenge Trial in Italia possa trovare “un terreno favorevole”, Difficile dirlo, però, considerando che tra i firmatari della lettera ci sono con decine di americani e brasiliani, molti tedeschi e spagnoli, mentre gli italiani si contano sulle dita di una mano. (Fonte: Ansa).