ROMA – Una reazione a catena genetica è riuscita per la prima volta al mondo ad annientare intere popolazioni delle zanzare anofele che trasmettono la malaria. L’esperimento, pubblicato sulla rivista Nature Biotechnology, è stato condotto in Gran Bretagna dall’italiano Andrea Crisanti, dell’Imperial College di Londra.
Nei test, condotti in gabbie all’interno del laboratorio, una popolazione di zanzare della specie Anopheles gambiae è stata azzerata nell’arco di 7-11 generazioni: dopo avere modificato un gene in modo da bloccare la capacità riproduttiva delle femmine, i ricercatori hanno utilizzato la tecnica chiamata ‘gene drive’ per diffonderlo nell’intera popolazione: i maschi hanno trasmesso il gene modificato, che si è attivato nelle femmine, responsabili della trasmissione della malaria, rendendole sterili.
I primi test su larga scala, ma sempre in spazi confinati, potrebbero avvenire in Italia, nel laboratorio del progetto ‘Target malaria’ della fondazione Bill & Melinda Gates. “E’ un lavoro fondamentale”, ha detto all’ANSA Crisanti, e “dimostra per la prima volta come, utilizzando una soluzione di genetica, sia possibile controllare specie dannose per l’uomo. Per la prima volta la tecnologia offre all’uomo la possibilità di combattere gli insetti nocivi”. La ricerca che ha portato a questo risultato è cominciata circa dieci anni fa, quando era stata dimostrata la fattibilità della tecnologia; in seguito sono stati fatti i primi test sulle zanzare con risultati promettenti, ma che non dimostravano la possibilità di abbattere un’intera popolazione.
“Adesso – ha proseguito Crisanti – abbiamo identificato il gene del Dna zanzare che ci permette di bloccare la capacità riproduttiva delle femmine: i maschi fertili lo trasmettono alla progenie e la popolazione collassa, come in una sorta di reazione a catena genetica”. Se al termine della sperimentazione le indicazioni relative all’efficacia e alla sicurezza lo permetteranno, la tecnica promette di diventare un’arma senza precedenti per eradicare la malaria.
“Questi primi risultati indicano che la tecnica del gene drive funziona, fornendo speranze nella lotta contro la malattia”, ha rilevato Cristanti. “C’è ancora molto lavoro da fare – ha aggiunto – per sperimentare la tecnologia in più vasti studi in laboratorio”, un lavoro che richiederà ancora fra cinque e dieci anni prima di passare alla sperimentazione sul campo. “In ogni caso – ha concluso – abbiamo molte dimostrazioni incoraggianti del fatto che ci troviamo ormai sulla strada giusta”.