Bankitalia: Grilli, il governatore che verrà

ROMA – Ora che anche Frau Merkel sembra disposta ad accettare che Mario Draghi, il prossimo autunno, vada a sedersi sulla poltrona francofortese di presidente della Banca centrale europea, si stanno intensificando le grandi manovre per rimpiazzare il governatore di Bankitalia a Palazzo Koch. I possibili candidati sono numerosi e tutti molto titolati, dall’ex commissario europeo Mario Monti all’ex ministro Domenico Siniscalco, dal direttore generale della banca centrale, Fabrizio Saccomanni, al vicedirettore generale Ignazio Visco che ha una manciata di anni in meno di Saccomanni. Alla decisione, supposta per confermata la scelta di Draghi per l’Eurotower, mancano alcuni mesi (il nuovo capo della Bce dovrebbe insediarsi a ottobre) e quindi fondamentale sarà l’evolversi della situazione politica: ci sarà ancora un governo Berlusconi? Quali saranno i rapporti fra Pdl e Lega e fra il Cavaliere e Giulio Tremonti?

Se permarranno i sia pur precari equilibri politici odierni, un candidato alla massima carica di via Nazionale parte con parecchie misure di vantaggio su tutti gli altri. Trattasi di Vittorio Grilli, attuale direttore generale del Tesoro, considerato “molto vicino” al superministro di Sondrio anche se nasce come un “Ciampi boys”. Ma lui è soprattutto un tecnico di alto livello che non ama troppo i giochi politici e che mette le sue competenze a disposizione dello Stato più che del governo. Per questo negli anni, lungo tutti i suoi incarichi da “grand commis”, ha osservato la regola della massima dicrezione: dichiarazioni e interviste si contano sulle dita di una mano e preferisce che “a parlare siano i numeri” (dei conti pubblici).

Fra le rare occasioni in cui ha derogato al silenzio si può ricordare una sua intervista a Barbara Palombelli quando nel 2002, a 45 anni, divenne Ragioniere generale dello Stato, e un suo scritto su una pubblicazione di… vitivinicoltori pugliesi dove, su richiesta del senatore Pd Nicola Rossi, Grilli narra la sua scoperta del vino (“per me era il liquido che veniva versato nel bicchiere piccolo accanto a quello grande dell’acqua… poi in America mi accorsi che l’amore per il vino era particolarmente diffuso nei dipartimenti di economia e che alcuni dei massimi esperti in materia erano colleghi professori, americani e non”. Segue una confessione, “l’amore per i vini francesi”, nonché notazioni sulle gradazioni (mai superare i 12,5 gradi), le etichette preferite e così via, in un crescendo di sapere e sapori enologici). Quel che segue riassume quel po’ che negli anni neppure la sua proverbiale riservatezza ha potuto celare al mondo.

Milanese di buona famiglia (il padre era imprenditore di macchine per il caffè, la madre biologa-ricercatrice oncologica di vaglia), una sorella pediatra e altri parenti medici. Il suo percorso universitario sembrava segnato: medicina. Quando arriva all’ultimo anno del liceo gli viene però il sospetto di “non avere un buon rapporto con il sangue”. Per accertarlo fa per un po’ il volontario notturno con la Croce Verde. Risultato? Si iscrive alla Bocconi dove si laurea con una tesi di economia internazionale, sui tassi di cambio, relatore Fabrizio Onida. Subito dopo, nel 1982, con il viatico di una borsa di studio della Banca d’Italia, sbarca negli States dove consegue un PhD all’Università di Rochester, nello Stato di New York ma a due passi dal lago Ontario.

Il gelo “canadese” disturba Grilli ma non scalfisce il suo innamoramento per gli Stati Uniti: a soli 29 anni già insegnava a Yale (i suoi libri più importanti sono tutti scritti in inglese) e cominciava a tessere quella tela di conoscenze che sarà poi fondamentale per la sua carriera di manager pubblico in Italia. A Yale, infatti, tenevano corsi estivi o passavano i loro sabbatici a fare ricerca economisti di vaglia come Luigi Spaventa e Francesco Giavazzi, nonché – guarda la combinazione – un certo Draghi. Si ricorderanno del giovane e brillante “emigrato” (che nel frattempo si trova una moglie americana e quindi, da ’90 al ’94, andrà a insegnare all’Università di Londra) quando, nel ’94, con il governo di Carlo Azeglio Ciampi, Spaventa reggerà il ministero del Bilancio e Draghi ne diviene il direttore generale.

Grilli sbarca al dicastero di via XX settembre dove collabora con il futuro governatore e si occupa in particolare di privatizzazioni, ciò che lo porterà negli anni successivi a entrare, in rappresentanza del Tesoro, nei cda di alcuni fra i maggiori gruppi in via di privatizzazione: Bnl, Enel, Wind, Alitalia. Fra i suoi successi dell’epoca, l’innovazione dei Ctz, titoli di Stato senza cedola e con rimborso di capitale e interessi cumulati alla scadenza.

In quegli anni il Nostro guadagna poltrone ma perde la barba: se l’era fatta crescere perché già in America la sua “baby face” lo faceva continuamente scambiare per uno studente anziché per un docente; anche al ministero la barbetta gli conferiva un po’ di autorevolezza in più. Nel ’97, quando Ciampi era ministro del Tesoro, Grilli fa al futuro presidente della Repubblica una promessa solenne: se l’Italia entra nell’euro si taglierà l’orpello peloso. Il feu vert per l’euro arriva l’anno dopo e il rasoio fa il suo lavoro.

Nel 2000 Grilli abbandona il Tesoro: dissapori politici (al governo c’è il centrosinistra) o richiamo dell’accademia? Lui è discreto come al solito e se ne torna all’insegnamento in Bocconi. Poi per un anno lavora con una grande banca d’affari (Credit Suisse First Boston). Nel frattempo Tremonti è tornato a guidare il ministero dell’Economia e quando nel 2002 c’è da sostituire Andrea Monorchio, ragioniere generale dello Stato di lunghissimo corso, non ha esitazioni: Grilli viene richiamato in servizio a via XX settembre per monitorare i conti pubblici. Dopo poco diviene anche presidente della Fondazione Iit (Istituto italiano di tecnologia, con sede a Genova, soprannominato Istituto italiano Tremonti), accademia di eccellenza fortemente voluta dal ministro e che – ahi, ahi – riceve cospicui finanziamente dallo stesso ministero dell’Economia (mentre le altre università boccheggiano).

Quando il fiscalista di Sondrio è costretto a dimettersi (2005) perché nella maggioranza di centrodestra c’è chi lo odia (quelli di An in particolare), a sostituirlo è chiamato Domenico Siniscalco che fino ad allora era dg del Tesoro: la poltrona liberata dall’economista torinese viene occupata proprio da Grilli che vi rimarrà fino a oggi, passando indenne attraverso governi di diverso colore e confermando la sua fama di tecnico apprezzato sia a destra che a sinistra (con qualche riserva della Cgil che lo ha accusato di non confrontarsi con il sindacato sui problemi dei dipendenti del ministero, di eccedere nelle consulenze esterne e l’ha financo denunciato per aver speso troppo nella ristrutturazione dei suoi uffici). Una fama consolidata anche mettendo a segno alcuni “capolavori”. In particolare parte dal team di Grilli il progetto che, con alcune modifiche, ha portato al varo del fondo per la stabilizzazione dell’euro (750 miliardi) che un anno fa ha permesso alla moneta unica di continuare a stare a galla sui mari procellosi della crisi greca e degli altri Pigs.

La tempesta finanziaria internazionale, sedata ma non superata, ha reso Tremonti ancor più consapevole dell’importanza di avere al proprio fianco un tecnico del valore di Grilli e ha favorito la conquista, da parte di quest’ultimo, di spazi di potere inediti. Il grand commis ha dovuto rinunciare in larga misura ai suoi hobbies preferiti (il golf a Cortina e le passeggiate dolomitiche, il calcetto, qualche partita dell’amata Inter) per diventare un pendolare sempre in volo tra Roma, Bruxelles e Strasburgo. I suoi pareri sono divenuti ascoltatissimi in sede europea – di recente è divenuto anche presidente del Comitato economico e finanziario della Ue – e anche a Roma Tremonti ha tenuto in gran conto la sua opinione per le questioni del debito pubblico e pure per alcune nomine cruciali. Fra tutte giova ricordare quella di Giovanni Gorno Tempini ad amministratore delegato della Cassa depositi e prestiti, un istituto ricco di liquidità che il ministro dell’Economia sta in vari modi cercando di mobilitare per i grandi investimenti infrastrutturali, l’intervento nel Mezzogiorno, il credito alle imprese (prima piccole e medie e ora anche grandissime) e altro ancora. Otre a quello su Gorno Tempini, che Grilli conosce quantomeno dai tempi in cui lavorava alla JP Morgan e che alla Cdp ha messo d’accordo i rappresentanti del ministero con quelli delle fondazioni bancarie, un altro suggerimento accolto ha riguardato Andrea Beltratti, nominato alla cruciale postazione di presidente del consiglio di gestione di Intesa Sanpaolo, che di Grilli era stato allievo a Yale.

Ora il medico mancato è a un passo da via Nazionale: se Draghi parte per Francoforte difficilmente a Grilli non verrà aperto il portone di palazzo Koch. Unico dubbio sollevato da qualche dietrologo deriva dal fatto che il suo primo sponsor, Tremonti, agli occhi di una parte della sua stessa maggioranza, e fors’anche del premier, appare già troppo potente: quindi qualcuno potrebbe mettersi di traverso onde evitare la nomina di un “suo” uomo anche alla Banca d’Italia.

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Warsamé Dini Casali