Fra Fini e Lombardo, la giustizia e il federalismo, per Berlusconi sarà un “logoration Boulevard”

I banchi del governo Berlusconi

Il destino della legislatura è quello di una interminabile corsa ad ostacoli. Il governo deve sperare di non inciampare mai. Affinché l’incidente non si verifichi, deve avere il passo lento, misurare il salto, appoggiare il piede con cura. Nonostante queste precauzioni nessuno può garantirgli che riuscirà ad arrivare comunque al traguardo. Il percorso è compromesso irrimediabilmente, insomma. Lo sanno Berlusconi, i suoi ministri, i partiti di maggioranza e quelli di opposizione.

In questa situazione la logica consiglierebbe di rinunciare alla gara e congedarsi dal pubblico ammutolito che dagli spalti non incita più il corridore, cioè l’esecutivo, alzando le braccia in segno di resa. Per quale imperscrutabile destino non saprei, ma quello che sembrava l’uomo solo al comando neppure questo estremo e sgradevole gesto può permettersi. Non glielo consentono le con dizioni generali del Paese, gli effetti della la crisi economica internazionale, gli alleati-antagonisti che non hanno nessuna voglia di assistere alla fine della corsa perché non sono pronti a scendere loro in pista. Soprattutto non se lo può permettere perché ha realizzato che mai e poi mai otterrebbe lo scioglimento delle Camere e, dunque, le elezioni anticipate.

L’alternativa al suo abbandono è il governo tecnico che lo taglierebbe fuori, forse per sempre, dalla partecipazione a qualsiasi competizione futura. Berlusconi è, dunque, costretto a governare. Detto così sembra una condanna. E forse lo è perché non può farlo come vorrebbe. Ma non è il solo a dolersene. Anche chi lo incalza sa bene di essere altrettanto soggetto al logoramento. E più di tutti le conseguenze di tale incredibile, assurda, imprevedibile situazione politica le pagherà amaramente il Paese.

Le spine interne alla coalizione, com’è noto, fanno più male a Berlusconi di quelle esterne. Esse gli si conficcano nei fianchi giorno dopo giorno e non gli danno tregua. Non fa in tempo ad addivenire a miti propositi, ad accogliere le richieste dei finiani, ad accondiscendere a quelle della Lega e pure dell’Mpa che poche ore dopo è costretto a fronteggiare altre richieste, altri diktat, altre pretese. E poi ancora trovarsi davanti a trabocchetti da aggirare. L’altro giorno, tanto per dire, inopinatamente in Consiglio dei ministri gli si sono parati dinanzi Bondi, Gelmini e Prestigiacomo che reclamavano da Tremonti il dovuto. Il ministro dell’Economia, con il garbo che lo contraddistingue, ha detto agli astanti sbigottiti che la gente non mangia cultura. Perfino Letta si è scomposto, racconta chi c’era. Ed al premier non è rimasto altro da fare che rabbonire gli inquieti ministri convocando per la prossima settimana una riunione per vedere come si possono risolvere le questioni poste sul tavolo dai responsabili dei dicasteri taglieggiati. Berlusconi sa bene che quando vuole il suo ministro valtellinese i soldi li trova: se li chiede Bossi, per le quote latte, per il federalismo e così via.

Dovrà trovarli anche per la Giustizia, come giustamente Angelino Alfano da tempo gli fa osservare. E potrebbero non bastare a Fini ed ai suoi che premono anche per ottenere maggiori risorse da destinare alle forze dell’ordine. Anzi, saranno sicuramente insufficienti di fronte al “niet” di Futuro e libertà sul varo del processo breve o sulla norma transitoria che dovrebbe colmare il vuoto tra la prevedibile bocciatura del legittimo impedimento ed il nuovo “lodo Alfano” costituzionalizzato, onde evitare sgradevoli sorprese primaverili al presidente del Consiglio.

Non è poi assodato che sugli altri punti del programma di fine legislatura tutto fili liscio. Le risorse per il Sud, ad esempio, ci saranno? La Banca del Mezzogiorno si farà? E quali contenuti avrà il federalismo fiscale, soprattutto quanto costerà? Interrogativi al netto delle ordinarie insidie che possono derivare da qualsiasi tipo di emergenza si presenterà ai quali nessuno, al momento, può dare risposte rassicuranti.

Insomma, Berlusconi che si toglierebbe d’impaccio andando alle elezioni, non può staccare la spina perché lo spettro del governo tecnico gli leva il sonno. Sa per certo – e candidamente lo ha confessato – che chi si dovesse prendere la briga di vararlo non suderebbe le canoniche sette camicie: potrebbe distribuire una settantina di poltrone ministeriali e accontentare tanti quanti postulanti occorrerebbero per mettere al riparo la legislatura la quale se finisse in anticipo farebbe perdere il vitalizio a circa i due terzi dei parlamentari: coloro che sanno di non essere rieletti perché non dovrebbero prolungarne l’agonia, con la scusa magari di fare una legge elettorale che al momento nessuno è in grado di fare oltretutto (è l’ennesima bufala della partitocrazia moribonda…)?

Ecco il quadro che Berlusconi sogna la notte. E tanti italiani insieme con lui. E’ un quadro nel quale la corsa ad ostacoli, a guardare bene, si svolge in una palude. Il rischio di affondare è ben peggiore di quello di cadere.

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Marco Benedetto