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Vorrei parlarvi del Nepal, un paese bellissimo, poco frequentato dai turisti italiani, stretto tra medio evo e XXIsecolo, laboratorio politico ai piedi dell’Himalaya.
Niente di più remoto dall’Italia di quanto lo sia il Nepal, grande metà dell’Italia ma con un terzo della popolazione. In questo momento ci unisce solo una cosa, il dibattito sul federalismo.
Da noi gli anni del terrorismo sono ormai scivolati nel pozzo della memoria e ci appassioniamo del dramma di una preside terrorizzata di una reprimenda della ministressa perché i suoi studenti hanno cantato bella ciao davanti alle autorità costituite.
In Nepal sono usciti da una sanguinosa guerriglia da appena un paio d’anni, hanno 19 mila ex guerriglieri maoisti accampati in attesa di essere riciclati in qualche modo.
Il partito maoista ha lo stesso peso elettorale del Pdl da noi, ma il primo ministro è un moderato e lo scontro sociale è lampante.
Ancora vent’anni fa poca gente viveva nelle città, l’arretratezza della gente era straziante, la povertà dilagante, la feudalità assoluta. Regnava re Birendra e l’ordine pubblico lo tenevano i gurkha, terribili guerrieri la cui caserma era attigua al palazzo reale.
La vicinanza non bastò a impedire la strage della famiglia reale per mano di un principe pazzo, proprio come nel romanzo di Emilio Salgari sulla Principessa dell’Assam. E neppure bastò a tenere sul trono il fratello di Birendra, Gyanendra, la cui svolta, ma che svolta, accelerazione reazionaria fu tale da indurre la popolazione a detronizzarlo e a portare i maoisti nel governo.
Vent’anni fa c’era pochissima industria, i più attivi erano i profughi tibetani, sfuggiti alla repressione cinese. Cina e India, due tra le economie cresciute di più in questi ultimi anni nel mondo, stringono il Nepal come due cuscini, ma il Nepal, straziato dalla guerriglia maoista, non ha beneficiato molto del boom. Solo abbastanza per raggiungere un pesantissimo livello di inquinamento, per vedere la capitale Kathmandu, meta hippy per eccellenza negli anni sessanta, avvicinarsi al milione di abitanti e i villaggi che facevano corona all’antico centro saldarsi in una unica megalopoli.
Adesso tutti vogliono stabilità, i nepalesi gli indiani, i cinesi. Ma tutti fanno i conti senza i maoisti, che sono i più forti, in termini elettorali quanto militari, vogliono il federalismo, proprio come da noi la Lega, e sono pronti a tutto, anche se sanno che non possono spingersi oltre un certo limite perché sarebbero subito isolati.
Intanto hanno ottenuto le dimissioni del primo ministro, che però non lascerà subito, ma più avanti. Ora c’è la costituzione da completare. L’importante è stato prolungare la vita del parlamento e quindi evitare le elezioni che, in assenza di una nuova costituzione, avrebbero rischiato di riaprire le chiuse del fiume del sangue.
Anche se non tutti ritengono che i maoisti siano dei convinti democratici e che il federalismo sia destinato a creare degli staterelli dove possono governare a loro piacere.