GENOVA – Un attacco di cuore stronca in un reparto del grande ospedale di San Martino, l’ex sindaco socialista di Genova, Fulvio Cerofolini, 83 anni, di cui dieci passati tra il 1975 e il 1985 a Palazzo Tursi, primo a inaugurare le “giunte rosse”, Pci-PSI, dopo i lunghi governi democristiani e poi il centrosinistra. Si ferma il cuore del sindaco socialista lombardiano, avversario di Craxi, ex sindacalista e tranviere, poi deputato, consigliere regionale, difensore civico, il curriculum perfetto di una vecchia gloria della Prima Repubblica.
Si ferma il cuore del vecchio ex sindaco, icona degli anni Settanta-Ottanta-Novanta della Genova postindustriale portuale e marittima, nello stesso giorno in cui l’amministratore delegato di Fincantieri, Giuseppe Bono, il classico boiardo di Stato, ferma il cuore del cantiere navale di Sestri Ponente, luogo ombelicale dell’industria marittima genovese e italiana.
Corrono gli infermieri per cercare di salvare il vecchio cuore del sindaco e corrono i comunicati che annunciano la tempesta dell’altra morte, quella dell’altro cantiere, incendiando Genova, rialzando barricate operaie che non si vedevano da decine di anni.
La terribile tragicità delle coincidenze temporali. Cerofolini era il sindaco di quella Genova postindustriale, che aveva incominciato a difendere fabbriche e cantieri in una visione purtroppo arretrata dello sviluppo economico, postfordista e dura e pura, di una città di tuteblù contro quella dei colletti bianchi o dei camerieri, come sibilavano sprezzanti i capi del vecchio Pci egemone, alludendo al futuro turistico e terziario che si intravvedeva oltre i cantieri navali, le fabbriche siderurgiche, come l’Italsider dell’acciaio di Stato in quasi fallimento, dell’Ansaldo, fabbrica di ogni “saper fare”, ex perroniana, dell’Italimpianti, insomma delle mitiche PPSS, inginocchiate dai colpi delle prime crisi mondiali.
Il cantiere di Sestri era il simbolo di un primato indiscutibile, della perizia navalmeccanica, quella che aveva portato a varare navi emblema della capacità industriale e marittima degli zeneisi: il Rex mitizzato da Fellini, l’Andrea Doria della tragedia nel luglio 1956 , speronata davanti all’isola nordamericana di Nanthuket, dalla rompighiaccio svedese Sthokolm. la Michelangelo del record di traversata atlantica e tante altre e poi delle odierne ammiraglie giganti del mare, costruite sul boom delle crociere nel mondo globalizzato.
Si fermano insieme il cuore del compagno Fulvio e quello del Cantiere e quel che succede è, comunque, un bel funerale di prima classe come quella che i bastimenti costruiti a Sestri lucidavano sul ponte più alto della nave da varare meglio di qualsiasi altro cantiere al mondo.
Cerofolini sarà onorato nella sala del Consiglio Comunale, con i discorsii funebri di una classe politica che più che piangere lui, piange se stessa e il modello politico-economico che non c’è più.
Intorno al cantiere il funerale è la battaglia operaia e più in generale della città che non si rassegna all’ultima chiusura simbolo di un modello che vacilla sempre di più: barricate, scontri davanti alla Prefettura con la polizia che carica con i caschi blu e i manganelli i residui di una classe operaia oramai meticcia e ridotta a poche centinaia di lavoratori tecnici, più uomini da computer che idraulici, saldatori, siderurgici, tute blu e marroni, dentro ai bacini che hanno preso il posto degli scali di alaggio sui quali le navi venivano alla fine completate, prima di scivolare in mare dopo il fatidico ordine alla madrina: “ In nome di Dio, madrina taglia” e la madrina tagliava il nastro della bottiglia di champagne. E la bottiglia si frantumava sullo scafo grezzo, ancora da verniciare con i colori magici della flotta, le bordonature eleganti e la nave scivolava tra gli applausi, sollevando ai lati quegli spruzzi bianchi dell’acqua che diventava il suo elemento e poi, miracolosamente come pareva, galleggiava nel tripudio e nell’orgoglio di avere costruito un bastimento perfetto.
Scena che non c’è più, perchè oggi le navi, i bastimenti, le grandi ammiraglie lunghe 350 metri del boom crocieristico, alte come grattacieli, a Sestri e negli altri sette cantieri italiani della azienda post Iri, non scivolano più ma si alzano dentro a bacini riempiti d’acqua, dentro i quali i pezzi della nave sono messi insieme come in un gigantesco Lego, in un maxibricolage e poi l’acqua irrompe sollevando il gigante sopra la base di costruzione.
Un altro mondo, ma i simboli e la storia non si cambia e tutta Sestri non solo gli operai, scende in piazza, in questa delegazione che sta già digerendo lo choc del prete Satana, don Riccardo Seppia, parroco proprio là sopra, sulla collina che domina il cantiere. Si chiudono i negozi, si organizzano proteste trasversali politicamente e ecomomicamente, perchè è come se a questo posto estirpassero l’anima. L’anima era quel cantiere che è come un muro in fondo a due strade della stretta costa genovese di ponente. Dentro quasi un migliaio di operai, per l’esattezza 890, ma intorno un indotto brulicante di competenze specifiche, di piccole aziende capaci di costruire come nessuno un’elica, la camicia di un pistone, di quelli che muovono i motori nelle pance delle navi, quelli che avete visto andare a mille nel film della tragedia del Titanic, pompare forsennatamente la forza propulsiva verso la gigantesca elica del bastimento record, che correva contro l’iceberg affilato della sua tragedia, così simile a quella dell’Andrea Doria.
Nessuno costruisce bene come i genovesi di questo mondo naval operaio meccanico, che ha resistito intorno alla Fincantieri di Sestri. Chiedono quei pezzi da mezzo mondo e se il cantiere chiude quelle competenze si sbriciolano con le generazioni che perdono l’arte sopraffina.
Perché Genova, perché Sestri dovrebbe esalare l’ultimo respiro, dopo tante agonie, tante sofferenze per restare a galla, non nel bacino che si riempie per il varo, ma nell’economia globalizzata, dove la costruzione delle navi negli ultimi trent’anni ha così tanto modificato le sue prospettive, facendosi mangiare il terreno dai concorrenti tedeschi, ma sopratutto dai cantieri coerani. Laggiù corrono tutti gli armatori del mondo a farsi costruire le navi, quelle da crociera ma anche le supertank o quei mostri da decine di migliaia di portacontainer che solcano gli oceani?
Perchè così sceglie Fincantieri, che ha otto cantieri in Italia, da Monfalcone, a Muggiano, a Ancona, a Palermo, a Castellamare di Stabia, a a Riva Trigoso, fino a questa Sestri dei mille dolori.
Si rinforzano i cantieri dell’Adriatico e si ridimensionano o chiudono quelli dei Tirreno. Gli ordini sono crollati, meno 55 per cento dal 2007 al 2011 e se non hai una nave dopo l’altra da costruire, chiudi. E si chiude Sestri e Castellammare, nella furia degli operai e delle istituzioni che gridano alla congiura del Nord Est contro il Nor Ovest, l’Adriatico della Lega Nord contro il Nord Ovest delle rimonte Pd.
Ma questa è crisi globale a parte, una battaglia che si combatte da decenni. Fulvio Cerofolini era un giovane socialista barricadiero, quando nel 1966 portarono via da Genova la Direzione Italcantieri, la testa di tutta la cantieristica italiana, trasferendola a Trieste. Una botta micidiale che sollevò la città, la quale aveva, però, i suoi santi in paradiso, come Paolo Emilio Taviani, il ministro delle partecipazioni Statali Giorgio Bo, il leader confindustriale Angelo Costa, il cardinale principe, quasi papa, Giuseppe Siri, i vertici dell’Iri con Peppino Petrilli, genovese, direttore generale. In cambio di quel trasloco di uffici e teste pensanti, la città ebbe un pacchetto compensativo sostanzioso, come la costruzione dell’Autostrada Voltri-Gravellona Toce, la strade dei Trafori e la assicurazione che la Superba sarebbe diventata la capitale dell’industria nucleare con l’Ansaldo caput dell’affare, che Craxi, nemico di Cerofolini, guarda le solite coincidenze, bloccò.
Poi, quindici anni dopo, nel 1981, quando la grande crisi delle PPSS falcidiò di tagli l’industria di Stato a Genova, cancellando in tre anni 55 mila posti di lavoro il Cantiere di Sestri tremava come oggi.
Cerofolini, allora sindaco all’inizio del suo secondo mandato, in pieni anni di piombo, con le BR che sputavano volantini dalle fabbriche Iri e gambizzavano dirigenti industriali e politici un giorno si e uno no, salì sui tavoli per arringare meglio la folla degli operai che occupava ferrovie e aeroporti.
Sestri sembrava destinata a ridursi a un cantiere per costruire piattaforme navali. Addio navi? Miracolosamente Sestri è rimasta a galla e poi è arrivato il boom delle crociere, dove la perizia genovesi dei pistoni e delle eliche sopraffine si è salvata, esaltandosi ancora.
Prima della crisi, che tartassa ora la cantieristica italiana, Fincantieri costruiva 12 navi kolossal ogni anno. Navi Msc del più grande liner del mondo Aponte o di Costa Carnival, la firma nata dalla famiglia genovese e comprata dagli yankees.
Sestri era sulla cresta dell’onda. Oggi la previsione è di 14 navi nei prossimi 4 anni, gli esuberi sono 2600 di cui appunto 800 a Genova, più i trasferimenti forzati e la ricaduta nell’indotto, fino a duemila posti ko in Liguria.
I rintocchi delle campane a morte di Sestri si mescolano con le orazioni funebri che la sindaco-successora del sindaco-tranviere, Marta Vincenzi e il presidente della Regione, Claudio Burlando, già ministro dei Trasporti, pronunciano in una città rovente di caldo e gonfia di rabbia. Si piange Cerofolini e si piange sulle battaglie che la sua generazione aveva, comunque combattuto con un certo successo, quello di continuare a far galleggiare il cantiere-simbolo.
Oggi l’ad di Fincantieri sbugiarda la signora sindaco, svelando di averla informata mesi fa del rischio letale che correvano i cantieri genovesi. La sindaco risponde che non è vero. Come un litigio tra bambini a scuola.
In realtà Repubblica, con un articolo del settembre 2010 a firma di Massimo Minella aveva svelato il piano dei tagli selvaggi. Fincantieri non smentì, ma annunciò che non lo avrebbe mai applicato.
Ma la crisi è andata avanti come uno tsunami, non a caso soffiato dall’Estremo Oriente e anche dalla Germania. L’Italia ha perso il primato della costruzione delle navi da crociera, ora che Corea e Cina hanno da anni il 70 per cento di quello di costruzione delle navi mercantili. I coreani con una tecnica più avanzata, i tedeschi e anche i francesi con condizioni finanziarie e di accesso al credito più facile stanno guadagnando miglia e miglia di terreno anche sulle crociere. E a Genova si litiga su chi sapeva della crisi e non si è mosso. Su chi, dirigente Fincantieri, boiardo di Stato o amministratore pubblico locale o nazionale non capiva un’acca di politica industriale o che altro, non ha modernizzato gli stabilimenti che le eliche e i pistoni a regola d’arte non bastano più.
Non più armatori, non più cantieri, forse non più riparazioni navali, Genova, la ex Superba ammaina le sue bandiere in una estate veramente satanica, nel cuore malato di Sestri con sullo sfondo il ghigno di don Seppia, il parroco pedofilo, che insegue le sue prede nei dedali degli ex cantieri chiusi o in chiusura.