Sono ancora tanti i bambini che in tutto il mondo lavorano, e anche in Italia esiste un esercito silenzioso di mezzo milione di baby-lavoratori: lo rivela l’organizzazione Save the Children alla vigilia della Giornata internazionale contro lo sfruttamento del lavoro minorile che si celebrerà il 12 giugno.
In Italia, secondo l’organizzazione internazionale, esistono dei fattori di rischio che contribuiscono a far aumentare la probabilità che un minore si trovi precocemente inserito nel mondo del lavoro: si tratta di minori maschi, di nazionalità straniera, che vivono in una famiglia con un solo genitore o in un nucleo familiare con più minori, e risiedono in un territorio con un alto tasso di disoccupazione.
Inoltre molti appartengono a famiglie monoreddito o con un reddito inferiore al 50 per cento della media nazionale. “Nei Paesi sviluppati, il lavoro entra nei percorsi di crescita di bambini e adolescenti in modi differenti e per diversi motivi rispetto ai paesi del sud del mondo, spiega Valerio Neri, direttore generale di Save the Children Italia.
“Innanzitutto c’è una sostanziale differenza legata all’età d’accesso al lavoro, poiché mentre nei Paesi in via di sviluppo anche i minori in età pre-scolare vengono coinvolti, nei Paesi occidentali, in particolare europei, il lavoro riguarda solo la fascia pre-adolescenziale.
“Inoltre, mentre in molti Paesi l’esperienza lavorativa è totalizzante, in Europa viene svolta in genere contemporaneamente alla frequenza scolastica.
In Italia, però, se si confrontano le esperienze dei minori stranieri e di quelli italiani che lavorano, i primi il più delle volte continuano ad andare a scuola, mentre per gli italiani si nota una maggiore tendenza ad assentarsi da scuola a lungo o addirittura ad interrompere la frequenza”.
Per di più, le esperienze di lavoro dei minori migranti nel nostro Paese si realizzano prevalentemente all’interno del gruppo familiare, mentre tra i minori italiani si registra la quota più alta di lavoro presso terzi.
Esiste una forte diversità anche tra i luoghi di lavoro dei minori stranieri rispetto a quelli degli italiani: tra i primi, 1 su 3 lavora in strada come venditore ambulante o fa accattonaggio, mentre i secondi dichiarano di lavorare prevalentemente in negozi, bar, ristoranti.