Senti chi parla. La caduta di stile della Moratti

Letizia Moratti (Lapresse)

ROMA – Che a rinfacciare a Giuliano Pisapia una amnistia per un furto d’auto di 30 anni fa sia una persona che, come Letizia Moratti, è entrata in politica, ha fatto il ministro ed è diventata sindaco di Milano solo ed esclusivamente grazie a un pluri indagato, pluri rinviato a giudizio e pluri miracolato da leggi fatte fare su misura come Silvio Berlusconi, è il colmo. Il colmo della miseria. Politica, morale e umana. E’ raggelante che il sindaco di Milano abbia tirato fuori questa storia solo alla fine del dibattito su SkyTv, sapendo bene che le regole dello stesso dibattito avrebbero impedito a Pisapia di replicare per dimostrare che si tratta di un falso. Non solo è raggelante, ma si tratta di una furbata che una persona per bene, e in particolare una signora, dovrebbe guardarsi bene dal compiere. Bene ha fatto perciò Pisapia a non accettare la stretta di mano della Moratti a fine dibattito. Vogliamo credere che la sua antagonista sia stata male informata. Ma se questo la scusa come persona privata, come sindaco di Milano aumenta la sua responsabilità del passo falso: un sindaco ha infatti il dovere di essere e apparire informato in modo pieno ed esatto, anziché sballato o approssimativo.

Non c’è neppure bisogno di sapere che Pisapia non è stato amnistiato, ma pienamente assolto, per dire che quella della Moratti è stata una terribile caduta di stile, un atto di pessimo gusto che anche se le dovesse far guadagnare qualche voto le porterebbe solo quello dei peggiori. L’unica nota positiva di questo atto pessimo è che dimostra come il sorriso educato eternamente stampato sulla faccia della Moratti è solo una maschera, che si è rivelata ipocrita. Da oggi è legittimo sospettare che benché si atteggi a gran donna di ottimo lignaggio familiare la signora Moratti non è affatto una Signora. Anche se in buona fede nel caso fosse stata male informata, il particolare della stilettata sferrata quando non era possibile replicare denota mancanza di buona fede e non denota la migliore delle educazioni.

Il lato comico di questa brutta storia è che a rendere nota la faccenda di 30 anni fa è stato lo stesso Pisapia, lo scorso 15 marzo. Andato a visitare i detenuti milanesi di S. Vittore, gesto non elettorale dato che si tratta del parlamentare con il record di visite alle carceri per denunciarne il degrado, Pisapia ha raccontato agli ospiti forzati di S. Vittore che lui quel carcere lo conosce bene: “Ho pagato con quattro mesi e mezzo di cella un errore giudiziario, riconosciuto come tale da una sentenza passata in giudicato”. Il candidato sindaco di Milano ha raccontato che nel 1980 venne arrestato con la pesante accusa “di banda armata e concorso morale nel furto di un’autovettura”. Un pentito del gruppo terrorista Prima Linea aveva parlato del “figlio di un noto avvocato”, e tanto bastò, dati i tempi di allora ben diversi da quelli attuali, per far scattare le manette al giovane Giuliano: suo padre era il famosissimo e autorevole avvocato Gian Domenico Pisapia.

Dall’accusa di banda armata Giuliano Pisapia fu “prosciolto con formula piena nella fase istruttoria”. Giudicato e assolto anche per il furto, il reato di concorso morale è stato sì coperto da amnistia, come dice la Moratti, ma l’attuale suo avversario aspirante sindaco il 15 marzo ai suoi ascoltatori aveva spiegato ciò che la Moratti ha invece taciuto: “I giudici mi hanno assolto nel merito, cosa possibile solo in quanto risultava evidente la mia innocenza”. “Mi sono candidato a sindaco di Milano anche per lo stimolo ricevuto da chi ho conosciuto in carcere per il mio impegno di parlamentare e avvocato: mi hanno trasmesso la voglia di cambiamento, eguaglianza e libertà”. Tant’è che nella sua pagina su Facebook Pisapia dedica spazio anche a “S. Vittore, quartiere di Milano”.

Il lato niente affatto comico di questa faccenda è invece la pretesa che chi è stato di sinistra anche solo 30 anni fa o ha avuto a che fare con la giustizia, pur senza avere condanne, non deve far politica, quanto meno non può fare il sindaco. Si tratta di una pretesa forse non da fascisti, ma certo da più o meno forcaioli. Che però, guarda caso, non vale per Silvio Berlusconi né per i non pochi politici e parlamentari condannati del centro desta. Anzi, in questo caso scatta la strategia dei due pesi è due misure: il condannato è da considerare innocente fino alla sentenza della Cassazione. E quindi intanto se ne può restare tranquillamente sulle poltrone istituzionali.

Ma ci sono altri due aspetti per nulla comici e anzi decisamente preoccupanti che è bene rilevare e non sottovalutare. Il primo è che questa pretesa fintamente moderata della Moratti è il completamento dei colpi di maglio del suo padrino politico nonché padrone del suo partito, il Berlusconi che ormai continua ad accusare come un disco rotto di comunismo tutti coloro che non si piegano alle sue pretese, dalle “toghe rosse” al capo dello Stato fino ai giudici della Corte Costituzionale. Il secondo è che si sta tentando di punire, per ora con tre mesi di sospensione dalla cattedra, i “professori che nelle scuole fanno propaganda o ideologia”, modo anodino per dire i professori di sinistra. Se dovesse passare una simile legge, non si capisce come potrebbero continuare ad esistere nelle scuole pubbliche i professori di religione, anomalia peraltro solo italiana e di Paesi musulmani.

Published by
Warsamé Dini Casali