Ore 19 di oggi, martedì 2 novembre, palazzo Grazioli, piano nobile: qui si vedrà tutta la capacità ammaliatrice del Cavaliere, il suo potere di convinzione politica, non quello fin troppo facile e in questi giorni cavalcante di attrazione verso escort, minorenni sbandate, aspiranti starlet, aspiranti veline e aspiranti….tutto.
Berlusconi ha convocato per quell’ora il senatore genovese Enrico Musso, in uscita dalla Pdl, quarantottenne professore di Economia dei Trasporti all’Università di Genova, ex candidato sindaco nel 2007, sconfitto di poco da Marta Vincenzi, tutt’ora a capo di un movimento trasversale che spazia da Destra a Sinistra e punta a conquistare il Comune, liberandolo dal giogo trentennale dei governi cittadini marcati Pci, Pds, Ds, Pd.
E’ il senatore-professore che, dopo una serie di strappi secchi, di distanze prese dal suo partito e dalla sua coalizione, ha annunciato che se ne va e ha tentato di dimettersi perfino dal Senato, bloccato dal capogruppo Pdl Quagliarello, che temeva una discussione in aula sul suo ritiro, con relativa conta dentro alla maggioranza traballante di Berlusconi.
E’ il senatore che ha chiesto di spiegare al Cavaliere di persona il perchè del suo abbandono, dopo essere stato tre anni e mezzo fa letteralmente “unto” dal signore di Arcore, che, da semisconosciuto prof di economia e collaboratore di Repubblica, lo trasformò nell’unica novità di rilievo del desertificato e scajolato territorio genovese e ligure della politica.
Oggi la sua uscita dalla Pdl di palazzo Madama potrebbe essere considerata come l’azione di una staffetta che si tira dietro altri ex berlusconiani doc, travagliati dagli scandali, tentati da Fini e che fa oscillare definitivamente la maggioranza della cosidetta Camera Alta.
Il caso di Enrico Musso, la sua uscita dal Pdl, la sua cavalcata verso l’ignoto politico con la sola targa di un movimento civico innervato da una Fondazione battezzata Oltremare, può avere un significato più ampio di quello che suggerirebbero i politicamente angusti confini liguri e la singolarità di un caso tra i tanti di “tradimento”.
Il professore di Economia in aspettativa non è in transizione verso la galassia di Fini, anche se qualche approccio c’è stato, non è in marcia verso l’Udc di Casini o verso l’Api di Tabacci&Rutelli, ma sta cercando di impostare un gioco più ampio su un terreno molto stretto che è quello della Liguria, dove il crollo (definitivo?) di Claudio Scajola ha aperto una voragine a destra e dove la il centro sinistra del presidente regionale Claudio Burlando e della sindaco Marta Vincenzi soffre un immobilismo paradossalmente spinto dalla mancanza di una interlocuzione governativa. L’asse Burlando-Scajola garantiva molto in termini di finanziamenti e opere pubbliche.
La parabola di Enrico Musso è, quindi, quella di un esterno che entra nella sfera politica con una improvvisazione assoluta (pescato tra destra e sinistra con una specie di concorso tra neofiti) e che ora ne tenta una seconda, assolutamente inedita: quella di riempire non un vuoto ma bensì due vuoti per andare a governare la città capoluogo.
Da poco più che ventenne il giovane prof si era già seduto in consiglio comunale sui banchi del Pli di Alfredo Biondi e di Gustavo Gamalero, i due navigati leader liberali a Genova, destinato, il primo a diventare ministro berlusconiano e sei volte vice presidente della Camera, destinato l’altro, già avvocato difensore della famiglia della povera tredicenne Milena Sutter, strangolata nel 1971 dal biondino della spyder rossa, Lorenzo Bozano, a futuro vice presidente della Regione e uomo chiave nella gestione delle Colombiane del 1992.
Ma dopo quella breve fase, politica addio: Musso a 37 anni era già in cattedra come professore di Economia dei Trasporti e decollava come studioso e testa d’uovo, grande esperto di infrastrutture con incarichi nazionali e internazionali. Un gioco molto casuale lo ha portato nel 2007 ad essere scelto proprio da Claudio Scajola come candidato sindaco del centro destra per sfidare la ultrapopolare Marta Vincenzi, ex eurodeputato, presidente della Provincia, superassessore in Comune, una virago politica di stretta origine Pci, figlia di operai della profonda periferia industriale genovese.
Berlusconi fu folgorato da questo docente, molto english nel tratto, ma anche atipico negli atteggiamenti, uno che gira per la città su una bici elettrica, adorato dai suoi studenti, con la faccia buona per conquistare un pubblico di sostenitori ampio e stufo delle stesse figure da una parte e dall’altra. Le elezioni del 2007 Musso le perse anche per quel suo look nuovo che alle cariatidi dell’allora Popolo delle Libertà faceva un po’ storcere la bocca. Girava sempre su quella bici e si definiva liberal, mostrava una quota di indipendenza un po’ sfacciata che piaceva a destra solo a Scajola, il proconsole in Liguria del Cavaliere, distaccato da Genova, terra sempre ostica per i liguri dell’estremo Ponente.
Ben presto Musso ha conquistato popolarità e parallelamente dissensi. Scajola lo candidò nel 2008 al Senato come capolista e gli spianò la strada in anticipo per la rivincita delle elezioni comunali nel nuovo Pdl, con il traguardo del 2011. L’allora ministro sapeva che il grosso del suo partito non sopportava il professorino, sempre pronto a prendere le distanze dalle decisioni di Berlusconi, soprattutto in tema di giustizia, ma gli teneva la briglia lenta sul collo perchè capiva che quello era un possibile uomo nuovo, su cui puntare anche un po’ trasversalmente per capovolgere i pietrificati equilibri politici liguri, dove la Sinistra governa in secula seculorum.
Caduto o inciampato Scajola, la franchigia del senatore Musso è aumentata a dismisura con i suoi strappi romani sul processo breve, sul lodo Alfano e su tanti altri temi cari a Berlusconi. E nel frattempo l’homo novus della politica ligure si è fatta la sua Fondazione a Genova, chiamata “Oltremare”, molto trendy e sopratutto veramente trasversale con adesione perfino di leader o ex leader del centro sinistra. Si fanno i nomi di Gino Paoli, il cantante, Gianni Facco, Arcangelo Merella, e ancora, se non altro “vicini”, Alberto Ghio, l’ex vice sindaco e Bruno Gabriello, l’architetto. L’obiettivo di questa nuova macchina politica culturale era ed è quello di preparare l’assalto “civico” al Comune di Genova, penetrando nelle periferie e nei quartieri alti, con un linguaggio concreto e temi affrontati a viso aperto. Intorno a lui, piano piano, tra scomuniche della parte politica che lo aveva portato alle elezioni e tentazioni dei Pd delusi e di quella grande parte di opinione pubblica che non va più a votare e innamoramenti dei centristi in cerca di facce nuove tra Udc, Partito della Nazione e varie altre compagnie, è incominciato a formarsi un vero movimento, un vero test politico.
Qual è il vero disegno del senatore “on demand” come lo ha definito argutamente su Repubblica Sebastiano Messina: staccarsi del tutto dal Pdl, accomiatandosi con grazia dal suo mentore iniziale Berlusconi e tentare la carta civica in una città graniticamente a sinistra? Oppure restare ancora attaccato per un lembo al centro destra, magari virando leggermente verso i finiani e non saltare completamente nel vuoto dai partiti più o meno in dissoluzione e nuova formazione?
Probabilmente non lo sa neppure lui e continuerà a chiederselo mentre stasera andrà verso palazzo Grazioli all’appuntamento con Berlusconi per quello che lui considera un “educato commiato”.
Certo, se il distacco sarà totale e se sulla sua bicicletta elettrica si abbatteranno i fulmini dei berlusconiani genovesi, rimasti oramai senza leader e capi ( anche il capostipite Biondi ha preso le distanze e di Scajola non si può prevedere nulla) a Genova si prepara uno scenario nuovo. Avremo un senatore di destra iscritto al gruppo misto, molto critico sulla politica del governo non solo in tema di giustizia ma anche di mancate liberalizzazioni, pronto a scattare nella battaglia di Genova, se confortato dalle spinte trasversali che già si sono manifestate.
Gli uomini e i mezzi dell’ex sindaco Pd di Genova l’avvocato Giuseppe Pericu, primo cittadino per un decennio, scaricato pesantemente dalla sua sucessora, Marta Vincenzi, nel nome di una esasperata discontinuità, sono già pronti a correre con lui. Dell’adesione dei finiani non si discute neppure, anche se il prode Enrico non ha ancora svoltato verso di loro, i neocentristi pronti ad agglutinarsi nel partito della Nazione non vedono l’ora. E la prossima sfida di Genova potrebbe colorarsi di una novità assoluta. In fondo non è la città primogenita, con Milano, delle giunte di centro sinistra Dc-Psi negli anni Sessanta e non è la città che nel 1974 varò per prima le giunte rosse?