Pino Nicotri sul caso Orlandi: nel mio libro c’è tutto, Manuela non fu rapita. Depistaggi per coprire qualcuno molto alto in Vaticano?

La notizia che il Vicariato di Roma ha permesso l’apertura della tomba di Enrico De Pedis, detto Renatino, boss della banda della Magliana, sepolto nella chiesa di Sant’Apollinare nel pieno centro di Roma ha riportato l’attenzione sulla misteriosa vicenda, in cui De Pedis è ritenuto coinvolto, del sequestro e dell’omicidio, nel 1983, di Emanuela Orlandi, il cui cadavere non è mai stato ritrovato.

Pino Nicotri e la copertina del suo libro

La storia della Orlandi era già stata posta, alcuni mesi fa, in parallelo con quella vicenda di Elisa Claps, scomparsa nel 1993, dieci anni dopo di lei, il cui cadavere è stato ritrovato nel duomo di Potenza, in una soffitta alla quale si può accedere solo dagli appartamenti del parroco, e della cui uccisione è stato ora accusato un giovane di Potenza.

Il caso Orlandi appare però molto più complesso, torbido e intricato, se non altro perché su di esso non si proietta l’ombra di una cattedrale del sud Italia, ma proprio quella del cupolone di San Pietro e dei palazzi del Vaticano.

Le acque del caso Orlandi, sporche e torbide fin dalle prime ore, lo sono diventate sempre di più negli anni, anche proprio per il recente coinvolgimento della famigerata banda della Magliana, portata da pochi anni alla gloria del cinema internazionale da un libro e da un film di successo.

La notizia del Vicariato è un altro piccolo colpo di teatro in una vicenda triste e dolorosa, perché riguarda la morte di una ragazzina minorenne, che si aggiunge ad altri colpi di teatro che poi tali sono sempre rimasti, senza mai gettare un benché minimo spiraglio di luce sulla storia.

Ancora ci si domanda che fine abbiano fatto le “rivelazioni” della “supertestimone” Sabrina Minardi del giugno 2008 e poi quelle del novembre dell’anno scorso; che fine abbiano fatto le novità sbandierate nella primavera di quest’anno riguardo la soluzione del mistero della scomparsa di Emanuela; che fine abbiano fatto le accuse ai vari “Ruffetto”, Gigetto”, “Cilletto” e Sergio Virtù, preteso autista dell’Enrico De Pedis della banda della Magliana.

Emanuela, figlia di un impiegato del Vaticano e cittadina vaticana, quando è scomparsa aveva quasi 16 anni ed era bella, vivace e curiosa, come è naturale alla sua età. I magistrati che si sono già occupati del caso, Adele Rando e Giovanni Malerba, nel 1993 nello sentenza istruttoria hanno concluso che la ragazza NON è stata rapita e che il “rapimento” è una messinscena per coprire qualcosa e qualcuno.

Sul caso Orlandi ho scritto un libro: “Emanuela Orlandi, la verità. Dai Lupi Grigi alla banda della Magliana” e nel libro ho riportato anche quanto mi ha detto lo stesso avvocato degli Orlandi che si è occupato dell’inchiesta giudiziaria, lo scomparso Gennaro Egidio: “Ma no, NON è stato un rapimento. La verità è molto più semplice e banale. Quando la si saprà, si vedrà che la fine di Emanuela è più banale… La ragazza godeva di molta più libertà di quanto è stato fatto credere”.

Tutto ciò conferma che la soluzione del caso è in Vaticano. E gli atti dell’inchiesta hanno dimostrato abbondantemente che il Vaticano sa, ma mente, tace e depista.

Partiamo dai fatti più recenti. Con l’arrivo delle ultime new entries Sergio Virtù, Angelo Cassani detto «Ciletto», Libero Angelico detto «Ruffetto» e Gianfranco Cerboni detto «Giggetto», che hanno preso il posto degli “imputati” precedenti, è più o meno la centesima volta che squillano le trombe per annunciare trionfalmente che il caso Orlandi è risolto. Trionfalismi fuori luogo. Voler per forza insistere a sostenere che Emanuela è stata “rapita” è facile quando le accuse sono a carico di chi non può difendersi perché passato da tempo a miglior vita, come Enrico “Renatino” De Pedis. Non è mai esistito un sequestro di persona i cui autori non siano mai stati in grado di fornire neppure uno straccio di prova di avere nelle loro mani la persona sequestrata. E sì che proprio a Roma Laudavino De Sanctis, detto Lallo Lo Zoppo, prima dell’83 aveva rapito a scopo di estorsione il re del caffè Giovanni Palombini, ucciso subito, e ne teneva in freezer il cadavere per fotografarlo con un quotidiano recente e fingere così con i suoi che fosse ancora vivo per convincerli a pagare il riscatto. Nel caso di Emanuela, neppure l’ombra di una foto, solo ed esclusivamente la fotocopia – non l’originale, si noti bene, ma solo la fotocopia – dela sua tessera di iscrizione al conservatorio musicale Ludovico da Victoria, proprietà del Vaticano, fotocopia che era facile da procurare per chi aveva accesso alla segreteria della scuola di musica: qualunque ufficio rilasci un documento di identità o di riconoscimento, dal passaporto al libretto di iscrizione all’Università, conserva infatti almeno una fotocopia dell’originale. Ecco perché affermo senza tema di smentita che la scomparsa della giovanissima Orlandi non può essere catalogata tra i sequestri, tanto meno a scopo di estorsione. Ma i motivi che mi spingono a fare questa affermazione sono anche altri. Molti altri.

L’unica cosa certa dopo oltre un quarto di secolo di ipotesi più o meno azzardate e campate in aria è che il Vaticano resta al centro della scena e dei sospetti, che aumentano anche alla luce proprio delle recenti strane “testimonianze” e trovano piena conferma l’impianto e le affermazioni del mio libro “Emanuela Orlandi – La Verità. Dai Lupi Grigi alla banda della Magliana”, dove a pagina 182 elenco appunto tutte le prove e gli indizi, in totale ben 17, che non si è trattato di una rapimento e che il Vaticano sa, ma nasconde e mente. L’elenco dei depistaggi e delle bugie d’Oltretevere è impressionante. Tanto impressionante che non può che costituire un fuoco di sbarramento per proteggere qualche pezzo grosso d’Oltre Tevere.

Dopo la “supertestimone” Sabrina Minardi, ecco che il 2010 viene inaugurato con un altro colpo ad effetto. In Turchia esce dal carcere per fine pena Alì Mehmet Agca, il terrorista dei Lupi Grigi che nel 1981 sparò a papa Wojtyla e venne per questo condannato all’ergastolo. La prima cosa che Agca libero dichiara ai giornalisti è che lui è “Gesu Cristo eterno” e che riporterà “Emanuela Orlandi viva in Vaticano”. Incredibile ma vero, Pietro Orlandi, fratello della povera Emanuela, ci tiene a dichiarare che a lui Agca è parso sincero e quindi credibile nonostante racconti l’esatto contrario di ciò che riferisce la Minardi. Nella famiglia Orlandi abbiamo un fratello di Emanuela che crede ad Agca e almeno una sorella della stessa Emanuela, Natalina, che crede invece sia sincera e credibile la Minardi. Ovvero: uno crede una cosa e l’altra crede l’esatto contrario. Credono? No comment. Mi limito a ricordare che, se non sbaglio, a “Chi l’ha visto?”, il programma di Raitre condotto da Federica Sciarelli, Pietro Orlandi a fine maggio ha dichiarato che la sorella sarebbe tornata a casa a giugno. Bene. Anzi, male: giugno infatti è passato, ma di Emanuela neppure l’ombra. As usual.

Occuparsi di Agca non è da persone serie, diamo invece un’occhiata più da vicino alla Minardi. Per dirla con don Abbondio: chi era costei?

Improvvisamente emersa da un tumultuoso passato remoto fatto di soldi facili, matrimonio di prestigio, marito calciatore ricco e osannato, prostituzione d’alto bordo e asseriti amanti presunti pezzi grossi della mala come Enrico “Renatino” De Pedis, Sabrina Minardi butta fuori scena i Lupi Grigi turchi per sostituirli con una pista decisamente più casereccia. Li sostituisce cioè con la Banda della Magliana e in particolare con un suo socio: De Pedis. Cambia radicalmente anche la sceneggiatura del film: Emanuela non è stata rapita come moneta di scambio con Agca, è stata invece rapita e infine uccisa su ordine di monsignor Marcinkus da “Renatino”, del quale la Minardi dice di essere stata l’amante per dieci anni di fila. Pezzo grosso d’Oltre Tevere, Marcinkus è stato per lungo tempo al timone della chiacchieratissima banca vaticana chiamata Istituto delle Opere di Religione, ma più nota come IOR. Ha inoltre ricoperto nello stesso tempo l’incarico di responsabile della sicurezza personale di Wojtyla ed è stato da questi nominato anche governatore del Vaticano nonostante un mandato di cattura italiano, rimasto lettera morta, per il crack del Banco Ambrosiano.

Cosa ci volesse fare Marcinkus con quel giovanissimo ostaggio non è affatto chiaro, a parte i sospetti di abusi sessuali riferiti dalla presunta ex amante di De Pedis. Minardi riduce infatti l’asserito rapimento di Emanuela a semplice “messaggio” verso lo IOR, cosa un po’ difficile da digerire perché lo IOR era nella mani proprio di Marcinkus. A meno che non si voglia sostenere che Marcinkus voleva mandare messaggi a se stesso. I magistrati preposti all’inchiesta hanno dichiarato di dare sufficiente credito ai racconti di Sabrina Minardi, ma le cose che non quadrano continuano a essere molte. Anzi, troppe. Proviamo a farne un elenco.

Appare impossibile che Minardi e De Pedis siano stati amanti, e per dieci anni. Dal 26 novembre 1984 al 21 gennaio 1988 “Renatino” era in carcere, a Regina Coeli, e ai colloqui con lui non ci andava l’asserita amante, bensì la futura consorte. Che non è Sabrina Minardi.

E’ stata invece proprio Minardi a rivelare che quando venne a sapere da una terza persona delle imminenti nozze di De Pedis decise di emigrare in Brasile, che ci restò per quasi due anni e che anche quando tornò in Italia non vide più De Pedis almeno fino al giorno prima della sua morte. Il conto dei “dieci anni” quindi non torna.

Se la Minardi e De Pedis fossero stati davvero amanti, e ancor più se fossero stati conviventi, la polizia per trovare De Pedis non avrebbe avuto nessun bisogno di pedinare la donna “per mesi”, come hanno dichiarato gli inquirenti, sarebbero bastati tuttalpiù un paio di giorni. Oltretutto a quell’epoca la donna annoverava tra i suoi clienti anche dirigenti di polizia. Tant’è che De Pedis, che della Minardi può essere stato tuttalpiù uno dei clienti o un’avventura, ne aveva imbottito la camera da letto di telecamere nascoste perché puntava a poter ricattare per l’appunto i poliziotti d’alto bordo e i politici che la frequentavano. Tra ques’ultimi, una volta è stato atteso, invano, l’ex segretario della Democrazia Cristiana Mino Martinazzoli. Quando la polizia arrestò De Pedis nella casa della Minardi in via Vittorini all’Eur non si accorse delle telecamere. Che furono portate via da una persona di fiducia di De Pedis.

Ufficialmente è stato solo il 18 novembre 2009 che Sabrina Minardi ha ascoltato per la prima volta, in tribunale, la famosa telefonata di “Mario”, il tizio che pochi giorni dopo la scomparsa ha telefonata a casa degli Orlandi per tranquillizzarli, di fatto cioè per ritardare e depistare le indagini. Ma è difficile credere non l’abbia mai ascoltata prima, per il semplice motivo che quella telefonata era già stata diffusa nel settembre 2005 dal programma di Raitre “Chi l’ha visto?” e ripetuta nel 2008 in una puntata dedicata proprio all’improvvisa comparsa della Minardi e alle sue clamorose “rivelazioni”. Dal 2005 la telefonata è inoltre ascoltabile sia nel sito di “Chi l’ha visto?” che nei video di Youtube.

Il “riconoscimento” della voce è avvenuto solo mercoledì 18 novembre 2009, eppure nel giro di poche ore dello stesso giorno, e quindi senza il tempo della benché minima verifica, la notizia ha invaso le redazioni al punto che il mattino successivo, giovedì 19, i quotidiani dedicavano alla nuova “svolta risolutiva” intere pagine. E’ evidente che qualcuno ha imbeccato le agenzie di stampa e le redazioni dei giornali, cosa che però non può avere fatto solo una persona, come per esempio un magistrato o un avvocato o un poliziotto: per convincere in così poco tempo così tante redazioni deve essersi mosso un intero ufficio. Quale? Viene in mente un altro episodio simile. Il Sisde, come si chiamavano allora i servizi segreti civili, pochi giorni dopo la scomparsa della povera Emanuela fa trovare sulla scrivania del giudice istruttore Margherita Gerunda una informativa nella quale, senza nessuna base, afferma che “probabilmente Emanuela Orlandi è stata rapita per essere scambiata con Alì Agca”. Gerunda convoca Agca per interrogarlo, e per evitare che i giornalisti se ne accorgano ordina che sia portato non a palazzo di giustizia, ma in questura. Guarda caso, quando il turco esce dall’interrogatorio e passa dal cortile della questura per essere riportato in carcere con il cellulare trova decine di giornalisti di testate italiane e di corrispondenti di giornali e televisioni di tutto il mondo.

Come che sia, quando si parla di riconoscimento della voce di una telefonata bisogna andarci cauti. Il telefono infatti, specie negli anni ’80, “taglia” le frequenze più alte e quelle più basse della voce, perciò il campione rappresentato dalle registrazioni è già almeno in parte monco. Inoltre dopo più di 26 anni la voce di chicchessia, anche dell’autore di una telefonata a casa Orlandi, è certo almeno in parte cambiata, se non altro per motivi ormonali, ai quali si possono aggiungere eventuali malattie, l’eventuale fumo e consumo di alcol, ecc. Già un paio di anni fa un pentito del banda della Magliana, Antonio Mancini, ha raccontato in una puntata del programma televisivo “Chi l’ha visto?” che la voce di “Mario” era quella di un certo “Ruffetto”, ritenuto “il killer preferito” da De Pedis. E’ stato appurato che Mancini si è sbagliato. Può succedere. Ma la logica dice che se si è sbagliato Mancini, che in quanto membro di un certo peso della banda della Magliana doveva conoscere “Ruffetto” piuttosto bene ed è quindi strano ne abbia confuso la voce, a maggior motivo è possibile che si sbagli anche la Minardi. O no?

L’attendibilità di Mancini è del resto già da molti anni piuttosto scarsa. Fa parte di quei pentiti che al processo per l’uccisione del giornalista Mino Pecorelli, ucciso nel marzo 1978, hanno “rivelato” ai magistrati versioni fantasiose sulla destinazione dell’arma del delitto subito dopo l’omicidio, arrivando a sostenere che era stata a De Pedis, affermazione smentita dal fatto che nel 1978 e fino a tutto il ’79 “Renatino” era chiuso a chiave in carcere, a Rebibbia. Da allora Mancini e altri pentiti altrettanto fantasiosi non sono più stati ritenuti attendibili, almeno in sede giudiziaria, tant’è che la Corte di Cassazione a sezioni unite ne bolla non pochi in modo decisamente duro. Perché alla Rai invece gli danno retta?

Ma Il nome di Sabrina Minardi come salta fuori? S’è fatta viva lei spontaneamente? Può parere strano, ma della Minardi si comincia a parlare già nel 1998, vale a dire con 7 anni di anticipo sulla circolazione del suo nome nella redazione di “Chi l’ha visto?”. A citarla per primo è il giornalista Max Parisi, con un articolo del 26 giugno 1998 sul giornale La Padania intitolato “I turpi traffici della Banda della Magliana”. Dopo la pubblicazione nel giugno 2002 del mio primo libro sul caso Orlandi, nel quale rivelo che si era interessato alle indagini fin dalle prime ore un agente del Sisde, Giulio Gangi, amico di una cugina di Emanuela, Parisi lo contatta e si convince, a torto e ignorando le perplessità dello stesso Gangi, che sia Sabrina Minardi la misteriosa donna che nel 1983 l’agente del Sisde sospettò di avere a che fare con il “rapimento”.

Il 30 giugno 2005 nella trasmissione televisiva “Punto e a capo” va in onda un dibattito con il criminologo Francesco Bruno, il magistrato Otello Lupacchini e il regista Daniele Costantini, fresco autore del film “Fatti della banda della Magliana” girato nel 2004. Fa da corredo al dibattito una intervista a Max Parisi, che si vanta di aver scoperto la tomba in S. Apollinare nel 1998. Nessuno fa cenno al fatto che sulla questione della tomba ci sono stati già nel ’95 una inchiesta giudiziaria e articoli del quotidiano Il Messaggero e che è finito tutto in una bolla di sapone.

In compenso, un mesetto dopo quel “Punto e a capo”, alla redazione di “Chi l’ha visto?” arriva la famosa telefonata anonima con la quale si “rivela” che De Pedis è sepolto in S. Apollinare e che quella sepoltura è la chiave per scoprire la verità sul caso Orlandi. L’autore storico di “Chi l’ha visto?”, Pier Giuseppe Murgia, chiede a una giornalista della sua redazione, Raffaella Notariale, di approfondire la possibilità che la banda della Magliana abbia partecipato al sequestro di Emanuela Orlandi. In televisione però il nome della Minardi viene fatto per la prima volta nel 2006 da un altro giornalista in un servizio per Raitre e l’ex “amante di De Pedis” telefona per protestare che non vuole assolutamente essere nominata. Rintracciata dalla Notariale, prima di autorizzarla a portarsi appresso un cameraman Sabrina Minardi lascia passare una ventina di incontri. E’ ovvio che nel corso di questi numerosi colloqui l’ex “amante di De Pedis” si sia fatta un’idea di cosa ci si aspettasse che lei dicesse: gli incontri infatti erano ovviamente tutti centrati su De Pedis, la banda della Magliana e il “rapimento” della Orlandi. L’intervista finalmente concessa a Notariale è andata in onda, purgata in alcuni punti come per esempio la cena e i miliardi a casa di Giulio Andreotti, dopo oltre un anno di contatti: per l’esattezza, nella puntata di “Chi l’ha visto?” del 27 novembre 2006.

Alla domanda secca “Lei c’entra con il rapimento di Emanuela Orlandi?” la signora Minardi risponde risentita “Ma lei sta scherzando?”. Non è invece uno scherzo la ricerca da parte di “Chi l’ha visto?” del sensazionalismo. Ma a senso unico. Per esempio, Federica Sciarelli si è sempre rifiutata di mandare in onda l’intervista che lei stessa mi fece fare nel 2003, dopo la pubblicazione del mio primo libro sul caso Orlandi, spedendo a Milano il collega Fiore Di Rienzo e un cameraman attrezzato di tutto punto. E dire che nell’intervista faccio il nome della via, Salita Monte del Gallo, nella quale, come mi è stato detto dall’interno del Vaticano, Emanuela sarebbe morta la sera stessa della scomparsa e rivelo altri particolari che evidentemente non si vuole trapelino, quali per esempio:

1) la strana vicenda delle richieste della magistratura di interrogare alcuni prelati inviate dall’Ufficio legale del parlamento italiano dallo stesso funzionario, Gianluigi Marrone, che poi dal Vaticano, in qualità di suo Giudice unico, se le respingeva;

2) il fatto che la segretaria di Marrone era Natalina Orlandi, sorella di Emanuela;

3) l’elenco delle molte e comprovate menzogne e omertà del Vaticano.

La tomba in S. Apollinare può apparire inopportuna, ma è un fatto che De Pedis è morto incensurato. Dall’accusa di appartenenza alla banda della Magliana è uscito assolto il 21 gennaio 1988. Non miracolato dalla scadenza termini, come è avvenuto per altri, bensì assolto. Può essere una notizia sgradita, può suscitare meraviglia e sconcerto, ma è così: è stato assolto. E comunque la storia di quella sepoltura è molto semplice e lineare, è già stata chiarita una dozzina d’anni fa dal magistrato romano Andrea De Gasperis. Mi limito ad aggiungere che non è affatto vero che nella basilica di S. Apollinare sono sepolti papi e principi della Chiesa. Anzi, fino agli anni Cinquanta del 1900 ci veniva sepolta anche gente del quartiere.

La banda della Magliana è stata fatta diventare la classica notte nera in cui tutti i gatti sono neri, un contenitore buono per qualunque mistero, vero o presunto, e De Pedis è stato dotato del potere di ubiquità. Il carattere “epico”, pervasivo e perfino romantico che ancora oggi si accredita alla banda nasce solo con il libro “Romanzo criminale”, scritto dal magistrato Giancarlo De Cataldo ed edito nel 2002, per poi affermarsi definitivamente nell’immaginario collettivo con il film omonimo realizzato daMichele Placido nel 2005 e rafforzarsi con la successiva serie televisiva varata nell’ottobre 2008, forse la più bella serie tv prodotta in Italia. Ma un conto sono i romanzi, i film e le serie televisive, per quanto si basino su fatti realmente accaduti, un altro conto è la realtà.

La trasmissione “Chi l’ha visto?” e la partecipazione ad essa degli Orlandi suscitano più di una perplessità. Per esempio, le Orlandi presenti in studio e la stessa conduttrice Federica Sciarelli non fanno una piega quando ascoltano la telefonata dello sconosciuto “biondino” che nel luglio del 2008 si dice amico di De Pedis e però ne sbaglia clamorosamente il cognome chiamandolo “De Preti”. Altro esempio: Pietro Orlandi, fratello di Emanuela, non smentisce la Sciarelli quando la conduttrice nella puntata dell’8 settembre 2008 afferma, sbagliando, che Emanuela il giorno della scomparsa anziché avere con sé la custodia con il flauto, strumento che imparava a suonare al conservatorio, aveva “la borsa con dentro il violino”, strumento con il quale la ragazza non ha mai avuto invece assolutamente nulla a che fare.

Fermo restando il fatto che, come ho dimostrato ampiamente nel libro sulla Orlandi, la ragazza che il poliziotto Bruno Bosco sostiene di avere visto parlare a fianco di una Bmw con uno sconosciuto – fatto diventare due anni fa De Pedis e pochi mesi fa Virtù – vicino al conservatorio e di fronte a palazzo Madama, sede del senato italiano, NON poteva essere Emanuela. Il poliziotto infatti dice che la ragazza da lui vista “aveva uno zainetto a spalla”, mentre invece nei giorni immediatamente successivi la famiglia Orlandi ha fatto pubblicare sui giornali un avviso ed affiggere in tutta Roma manifesti nei quali chiarisce che Emanuela “è uscita di casa con una borsa di cuoio”. Oltre che “con un flauto in una custodia rettangolare nera”, che Bruno Bosco NON ha mai menzionato. Del resto, ripeto, gli stessi magistrati che si sono già occupati del caso e lo stesso legale degli Orlandi hanno chiarito, i primi in una sentenza istruttoria e il secondo in una conversazione da me resa pubblica, che Emanuela NON è stata rapita. E che la faccenda dello scambio con Agca “è una messinscena per coprire qualcos’altro”.

Per coprire cosa e chi? Dicevo che non si depista per 27 anni di fila per coprire un barista o un impiegato del Vaticano. Ma neppure una guardia svizzera o un prete. Come che sia, perché continuare ad avvalorare versioni che non stanno in piedi e già affossate dalla magistratura?

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