Scienza

Primo embrione artificiale al mondo: un “Google Earth” per le cellule

Primo embrione artificiale al mondo: un “Google Earth” per le cellule

ROMA – Il primo embrione artificiale è stato creato in laboratorio, aprendo nuove strade alla ricerca dei primi stadi della vita. Una Google Earth delle cellule destinate a formare un nuovo individuo: è questo uno dei grandi vantaggi di avere a disposizione un embrione artificiale in 3D.

Gli scienziati sono riusciti a sviluppare dalle cellule staminali un embrione di topo simile ad uno naturale e potrebbero essere in grado di farlo crescere all‘esterno dell’utero. Il gruppo dell’università di Cambridge guidato da Sarah Harrison e Magdalena Zernicka-Goetz ha pubblicato i risultati ottenuti sulla rivista Science. L’embrione aiuterà a comprendere l’origine di molte malattie legate alle fasi iniziali dello sviluppo e a ridurre i test condotti sugli animali.

L’esperimento dell’embrione artificiale condotto da Magdalena Zernicka-Goetz permetterà lo sviluppo di un individuo fuori dall’utero, anche se questa è solo possibilità teorica e applicabile solo in alcuni settori, come la zootecnia. Sia le cellule embrionali sia quelle che danno vita alla struttura su cui si sviluppa l’embrione “cominciano a parlare le une con le altre fino a organizzarsi in una struttura che si comporta come un embrione”, ha osservato l’autrice, come ha sottolineato la Zernicka-Goetz:

“L’embrione ha regioni anatomicamente corrette che si sviluppano al posto giusto nel momento giusto”.

Confrontato con un embrione normale, quello artificiale ha mostrato di seguire lo stesso andamento nello sviluppo e di essere completo sotto tutti gli aspetti, compresa la formazione delle cellule germinali destinate a diventare ovuli e spermatozoi e quella della cavità amniotica nella quale l’embrione si sviluppa.

I tentativi di far sviluppare un embrione in laboratorio finora erano falliti perchè si erano utilizzate solo le cellule staminali destinate a formare l’organismo, ma non quelle del tessuto che lo nutre (trofoblasto) e dal quale ha origine la placenta. Carlo Alberto Redi, direttore del Laboratorio di Biologia dello sviluppo dell’università di Pavia, ha commentato:

“E’ un risultato molto importante che, per la prima volta, indica che in linea teorica è possibile che un embrione possa svilupparsi fuori dall’utero”.

Tuttavia questa al momento è solo una prova di principio. Nonostante l’embrione artificiale sia simile a un embrione naturale, per i ricercatori è improbabile che possa svilupparsi per dare origine a un feto sano. Perchè questo possa avvenire bisogna utilizzare anche le cellule staminali che permettono la formazione del sacco vitellino, la cui rete di vasi sanguigni è indispensabile per nutrire l’embrione.

Per Redi, adesso diventa possibile studiare lo sviluppo di un embrione con un dettaglio senza precedenti. Osservare le cellule nella struttura tridimensionale che imita perfettamente la morula, ossia l’agglomerato di cellule la cui forma ricorda quella di una mora,

“permette non soltanto di osservane lo sviluppo, ma di comprenderne il comportamento a seconda della posizione che occupano”.

Ci sono infatti moltissime informazioni che una cellula acquisisce dall’ambiente in cui è immersa e dalla particolare posizione che occupa e adesso è possibile conoscerle. Questa, per Redi, è solo una delle possibili ricadute: diventa possibile, ad esempio capire i meccanismi che permettono all’embrione di superare le primissime fasi cruciali dello sviluppo e di attecchire nell’utero, e spiegare perchè il 90% degli embrioni generati non attecchisce.

E’ un risultato importante anche per la zootecnia, ha aggiunto, per ottenere animali più sani. Se in futuro la tecnica sarà perfezionata e si riuscirà a concretizzare la possibilità teorica di far sviluppare un embrione fuori dall’utero, allora si potranno ottenere degli “avatar degli animali da laboratorio”.

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