Teneva la radio accesa nella sala d’aspetto del suo studio per allietare i clienti in attesa di essere visitati. Il ‘servizio’ offerto, però, non era regolare, perché sulla musica che si diffondeva non aveva pagato ciò che doveva. Così il Tribunale civile di Milano ha condannato un dentista milanese a versare i diritti discografici non pagati negli ultimi dieci anni, la cui entità dovrà essere stabilita da un altro giudice.
A intentare la causa è stato Scf Consorzio Fonografici, che gestisce in Italia la raccolta e la distribuzione dei compensi per diritti dovuti agli artisti musicali e ai produttori discografici. Cosa diversa, dunque, dalla Siae, che si occupa dei diritti degli autori e degli editori. ”La sentenza – ha commentato il presidente di Scf, Saverio Lupica – è innovativa, perché fissa di fatto un principio” che vale per ”tutti gli studi professionali”, avvocati, architetti, commercialisti e notai.
In particolare, il collegio della sezione specializzata per la proprietà industriale, presieduto dal giudice Marina Tavassi, dopo aver premesso che ”nella sala d’aspetto dello studio” del dentista ”era diffusa della musica proveniente da un apparecchio radiofonico”, ha stabilito che la ”diffusione al pubblico di trasmissioni radiofoniche da parte di soggetti diversi dalle emittenti stesse configura” un utilizzo ”che esula dal mero ascolto privato”. La ”diffusione avviene, infatti, per intrattenere un pubblico più ampio”. E ”la clientela di uno studio dentistico – proseguono i giudici – integra un ambito di persone” che rientra nella nozione ”di pubblico”.
Per questo il Tribunale ha condannato il dentista a versare a Scf i soldi non pagati negli ultimi dieci anni, ”da liquidarsi in separato giudizio”.