Riforma della Giustizia: berlusconiani, antiberlusconiani, giudici e milioni di italiani per i quali non cambierà nulla

Sul tema della riforma della Giustizia che il governo Berlusconi intende portare avanti si è esercitato più d’un editorialista sui giornali italiani. Vi abbiamo selezionato tre interventi significativi: Massimo Franco e Pierluigi Battista sul Corriere della Sera, Piero Alberto Capotosti sul Messaggero. Franco pensa che la riforma non sia nata solo come reazione al caso Ruby:

Silvio Berlusconi e il suo plenipotenziario sulla giustizia, Angelino Alfano, hanno illustrato una riforma che scommette sui cambiamenti avvenuti nell’opinione pubblica in questi anni. […]

Il sospetto che tutto sia nato sull’onda del processo sul «caso Ruby» che vede imputato il presidente del Consiglio, non può essere scansato nonostante i dinieghi. Ma l’impressione è che il progetto illustrato ieri dal premier e da Alfano abbia una genesi meno estemporanea e reattiva di quanto si pensi. Se pure non affonda nelle radici dei diciassette anni di berlusconismo, come tendono a sostenere i promotori, come minimo è la conseguenza naturale di quanto è successo dall’autunno dello scorso anno a oggi.

Dal quadro che Franco delinea l’opposizione, in particolare il Pd, appare schiacciata fra il berlusconismo, l’antiberlusconismo e la reazione dei giudici.

Nelle pieghe di una riforma costituzionale insieme complicata, discutibile e ambiziosa si annidano parti sulle quali si può aprire una trattativa col Parlamento, e altre potenzialmente intangibili. È l’ennesima imposizione dell’agenda berlusconiana a un centrosinistra diviso fra chi chiude pregiudizialmente al dialogo, e chi ritiene di dovere almeno fingere un confronto. Ma è assai difficile che riesca a imporsi. Il riflesso difensivo dell’Anm, i timori per una perdita di autonomia e per il ridimensionamento del ruolo dei pubblici ministeri si riflettono sull’atteggiamento del centrosinistra. La coalizione berlusconiana, però, non sembra preoccuparsene.

Le difficoltà della controparte politica non possono che rafforzare le forze che sostengono il governo:

E non è da escludersi che presto, al tema della giustizia si affianchi quello della riforma dello Stato. Si materializzerebbe così una sorta di «commissione bicamerale a cielo aperto» , come viene definita, che nelle intenzioni del governo dovrebbe stanare e se possibile coinvolgere l’opposizione; ma soprattutto, che tenterà di trasmettere al Paese l’idea di una maggioranza che ha ritrovato una ragione d’essere per i prossimi due anni.

Sempre sul Corriere Battista ricorda come alcuni punti della “bozza Alfano” erano già stati proposti dal centrosinistra ai tormentati tempi della bicamerale:

La separazione delle carriere tra giudici e pubblici ministeri non può essere un tabù per il centrosinistra, anche se a proporla è il governo Berlusconi. Superfluo ricordare che quel tabù venne già violato nella Bicamerale presieduta da D’Alema tra il ’ 96 e il ’ 98. E del resto l’imparzialità e la terzietà del giudice rispetto alle parti è una garanzia per lo Stato di diritto tanto quanto l’indipendenza della magistratura dal potere politico. Un’opposizione libera dall’incubo di Berlusconi non potrebbe forse trovare un terreno di interlocuzione sul tema della terzietà, contrastando al contempo ogni tentazione di subordinazione dei pubblici ministeri agli imperativi della politica? Non è un tabù nemmeno la responsabilità civile dei giudici laddove sia ravvisabile un dolo nei loro comportamenti: se non altro perché un referendum ne ha sostenuto il principio (poi disatteso) già negli anni Ottanta. Perché la sinistra garantista dovrebbe avere paura di un principio che vincola i magistrati a una condotta di responsabilità simile a quella cui devono giustamente attenersi tutti i professionisti che svolgono attività su temi delicatissimi per la vita e la libertà dei cittadini? Sull’obbligatorietà dell’azione penale, poi, spieghi l’opposizione se oggi questa regola viene effettivamente osservata nelle procure italiane, o se i fascicoli che si accumulano sulle scrivanie dei tribunali non siano smaltiti con criteri che con l’ «obbligatorietà» hanno poco a che fare.

Il consiglio dell’editorialista a tutte le forze in campo è quello di cercare il dialogo:

Di tutto questo si può e si deve discutere, senza gridare all’ «eversione» per proposte opinabili ma non incompatibili con i principi dello Stato di diritto. «Discutere» , però, deve valere per tutti. Per il Pd, che può trovare un’occasione per smarcarsi dall’ipoteca giustizialista di Di Pietro. Ma soprattutto per la maggioranza di governo che non può procedere a strappi, spallate, ultimatum. Che non deve lasciarsi sopraffare da sentimenti di vendetta politica nei confronti della magistratura.

Capotosti sul Messaggero invece affronta il problema da un lato più “tecnico”: la riforma avrà anche degli aspetti positivi, ma, vertendo prevalentemente sul processo penale, trascura il processo civile, vera croce per milioni di italiani:

La prima domanda che probabilmente faranno molti cittadini all’annuncio dell approvazione governativa della riforma “epocale” della giustizia sarà: abbiamo dunque finito con i processi eterni e con tutti i guai della “malagiustizia”? Temo che la risposta purtroppo non possa essere positiva, poiché l’entrata in vigore di questa riforma avrà presumibilmente tempi molto lunghi, certamente superiori ad un anno, e comunque avrà una incidenza molto limitata sul funzionamento quotidiano della giustizia. […]

Accanto a riforme di cui si parla da grande tempo, come la separazione delle carriere dei magistrati o la introduzione della responsabilità civile diretta, o la inappellabilità delle sentenze assolutorie, destinate a lasciare un segno positivo nell’esplicazione della funzione giudiziaria, viceversa non si incida significativamente sui mali antichi del nostro sistema giudiziario. Tempi lunghissimi per ottenere la sentenza finale, decisioni spesso basate su formalismi incomprensibili, un eccesso di inutili cavilli burocratici, che aumentano i costi che gravano sul cittadino che non sia ancora disincentivato dall’intraprendere un’azione giudiziaria per ottenere giustizia. Dietro a questo quadro assai poco consolante, c’è un sistema giudiziario, che ha un arretrato enorme, poiché segue in larga parte modelli organizzativi desueti, non più adatti alle esigenze odierne, utilizza male le proprie risorse umane e fmanziarie e continua ad applicare formalismi e procedure, sostanzialmente di tipo ottocentesco, non più corrispondenti con la nostra società.

Questa riforma necessariamente avrà i tempi molto lunghi della revisione costituzionale e soprattutto, a mio avviso, avrà uno scarso impatto sulle disfunzioni del sistema giudiziario, in quanto è destinata ad incidere soprattutto sui profili strutturali e di sistema, con ricadute precipuamente sui processi penali, anziché su quelli civili e del lavoro, i quali peraltro coinvolgono direttamente una quota molto più ampia degli interessi propri dei cittadini. Ed infatti ad essi probabilmente interessa poco che ci siano due Consigli superiori della magistratura, o che ci siano due Corti di disciplina dei magistrati, o che il numero dei membri laici in questi due organismi sia pari a quello dei membri togati, e così via.
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