Sabrina, Sarah, Michele. Sul mistero di casa Misseri, la cupa e morbosa ombra dell’incesto

Sarah Scazzi

La ricostruzione “finale” non mi convince. Qualcosa ancora non quadra. Come è possibile che Sabrina afferri in casa sua cugina Sarah, la porti di forza in garage dal padre e che costui, anziché chiedere  “Ma che cavolo state facendo?” e separale a suon di sberle, strangoli Sarah senza un motivo, cioè senza un accordo preventivo con sua figlia? Ci credo poco. O niente. Non ha senso. È più probabile ci sia stato un accordo preventivo. O una  preesistente complicità tra padre e figlia per altre faccende che ha innescato la conclusione assassina del litigio. Una complicità su temi pesanti, scabrosi, riguardante per esempio un segreto inconfessabile.

Non mi convince neppure il motivo ufficialmente addotto come scatenante l’omicidio: tappare la bocca a Sarah per evitare facesse sapere in famiglia e fuori famiglia che suo zio l’aveva infastidita sessualmente. Un adulto come zio Michele può sempre ribattere, come infatti sempre accade, che “sono tutte sua fantasie, affermazioni campate per aria”. Chi avrebbe dato retta a Sarah? E in ogni caso: che gliene fregava a suo zio se qualcuno le credeva? Il duro contadino Michele Misseri non ha proprio l’aria e tanto meno la formazione di uno che se non gode di immensa considerazione si spara. Qualcuno è disposto a credere che ad Avetrana, o a Castelvetrano o a Cuneo, susciti davvero un grande scandalo il fatto che uno zio ci abbia “tentato” con una nipote? L’Italia sarebbe talmente piena di scandali da non lasciare più spazio a quelli di Berlusconi o dei Tulliani. Credo che tanta aberrazione e malsana violenza siano scattate in Misseri padre e figlia perché scatenate da qualcosa di malsano e aberrante che esisteva già prima.

E dunque?

E dunque mi rendo conto che il terreno in cui mi sto avventurando è molto scabroso e che il tema va affrontato con la delicatezza, il riserbo e il garbo che questa dolorosa vicenda impone, però non nascondo che mi viene in mente un’inchiesta che oltre 20 anni fa condussi per L’Espresso sugli inconfessabili e in genere inconfessati rapporti. non solo tra fratelli e sorelle (chi non ricorda,almeno per citazione, “Vaghe stelle dell’orsa” diLuchino Visconti?), che non hanno mai scatenato troppo scandalo, ma su quelli tra genitore, padre o madre, e figli. La parola è tremenda, ha un suono da maledizione biblica, ho reticenza a usarla, è incesto, però non si può escludere a priori che in un qualche modo un simile tremendo tipo di rapporto emerga alla fine dall’inchiesta. Ormai portano tutte lì le congetture degli psicologi intervistati in queste ore dai giornali.

Il caso più diffuso è il rapporto tra padre e figlia. Padre padrone? Non a caso la parola “padrone” non è altro che un accrescitivo di “padre”… che di per sé quindi incorpora già il concetto di padrone. Noi magari non ce ne rendiamo conto, ma la nostra lingua quotidiana sì. E le parole non nascono su Marte o sotto i cavoli, ma dall’esperienza quotidiana. Appurai, e scrissi, che la capitale degli incesti padre-figlia è la Lombardia, con epicentro Milano. E che le madri di solito sanno. Ma tacciono. “E non tacciono per evitare danni maggiori, bensì per non perdere lo status e i vantaggi di moglie, perché a Milano l’incesto non è cosa da classi sociali povere o degradate, ma soprattutto da benestanti”, mi spiegò uno specialista da me intervistato.

Diffuso nel Trentino Alto Adige dell’economia del “maso chiuso”, che per non disperdere il maso, cioè il terreno di famiglia, stimola gli incesti, ho letto che sempre per non disperdere il patromonio l’incesto è stato praticato anche ad alto livello da grandi banchieri e finanzieri in tempi passati. E che fosse prassi normale al tempo dei faraoni è cosa nota. Qui però siamo non nell’antico Egitto, ma ad Avetrana, e non nell’alta finanza, ma tra contadini. Possibile che qualcosa del genere sia avvenuto in casa Misseri? Può trattarsi di un incesto non consumato, di natura solo psicologica, ma qualcosa che va oltre quel che normalmente accade in una famiglia normale. In questo caso non si tratta di una famiglia normale: è una famiglia dove una ragazzina è stata  strangolata in un garage, dove in primo tempo pareva che nessuno avesse sentito, poi è stata coinvolta Sabrina, poi la madre – moglie e la sorella – cugina si sono schierate in difesa della presunta complice. Un ambientino complesso, contorto, sotterraneo.

Facciamo ora il caso che in una famiglia contadina di Avetrana, o di Castelvetrano o di Cuneo, il padre, padre-padrone di fatto e per cultura, indurito dal lavoro nei campi e magari anche da un periodo di emigrazione in un Paese straniero a fare un lavoro umliante e deprimente, abbia o abbia avuto un rapporto di quel genere con una figlia. E che “ci tenti” con una nipote. Cos’è che teme di più? Che si venga a sapere che ci ha tentato con la nipote o che salti fuori di peggio? Si teme di più che si sappia di un peccato veniale, qual è l’averci tentato con una nipote, o che si sappia di un peccato mortale, mortalissimo, qual è l’esserci riuscito con una figlia? E cos’è che teme di più la figlia di un tale padre? Scandalo pubblico o parentale a parte, qual è la molla più forte? Quella che scatta in una figlia che sa di dividere col padre un segreto inconfessabile, come per esempio avere o avere avuto una relazione adultera col padre, o quella in una figlia che non ha e non ha mai avuto segreti così scabrosi?

Ripeto: credo che tanta aberrazione e malsana violenza siano scattate in Messari padre e figlia perché scatenate da qualcosa di malsano e aberrante che esisteva già prima. Scatenate non in modo estemporaneo in garage, ma coltivate e decise già prima. Oppure provocate o almeno facilitate da una complicità tra padre e figlia preesistente da tempo e su un segreto inconfessabile.

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Marco Benedetto